E’ di questi giorni l’approvazione da parte del Consiglio dei Ministri della bozza del disegno di legge sulla disciplina del divieto di pubblicizzazione parassitaria.
La visibilità e l’attenzione del pubblico è ciò di cui si nutre un’azienda per avere successo. Le strategie di marketing adottate per raggiungere tale scopo sono tantissime, ma talvolta sfociano in politiche aziendali indebite e spregiudicate.
L’esigenza di una regolamentazione della materia sorge dal vuoto normativo che si registra principalmente in punto alla repressione delle condotte sleali nel mondo del marketing.
Tra queste condotte si colloca, comprensibilmente, l’ambush marketing.

Cos’è l’Ambush Marketing?
Da una definizione coniata per la prima volta negli anni ’80 dal famoso marketing strategist Jerry Welsh, con l’espressione ambush marketing si intende la pratica con la quale un’azienda associa il proprio brand ad un evento mediatico, pur non avendo ricevuto alcuna autorizzazione in tal senso.
In genere, una azienda stipula un contratto di sponsorizzazione con l’organizzatore di una manifestazione sportiva o fieristica affinché il proprio marchio venga riconosciuto come sponsor ufficiale di quel determinato evento.
Eppure, nella prassi, accade che altre aziende “parassite”, pur non avendo sottoscritto alcun regolare contratto, sfruttano quell’evento al fine di vedersi associare il proprio marchio o un proprio prodotto allo stesso.
In buona sostanza, guadagnare visibilità servendosi della risonanza mediatica di una manifestazione e aumentare la propria brand awareness, senza sopportare costi di sponsorizzazione.
Il termine “ambush” (trad. imboscata o agguato) non lascia intendere nulla di buono, o meglio nulla di lecito. Difatti, con tale pratica l’ambusher agisce intenzionalmente in mala fede per farsi pubblicità, “ruba” la scena a chi se l’è guadagnata con strumenti leciti, procurando così un danno agli operatori economici regolarmente autorizzati, che vanifica l’impatto della campagna pubblicitaria e soprattutto dell’investimento per la sponsorizzazione esclusiva.
E’ in realtà una condotta plurioffensiva poiché non lede solo gli interessi dello sponsor ufficiale, ma anche dell’organizzatore dell’evento nonché del pubblico che viene tratto in inganno da una pubblicità fuorviante.
Rappresenta, in quest’ottica, una strategia discutibile e poco convenzionale che si realizza con le modalità più fantasiose e che talvolta è persino complesso collocarla tra le condotte sleali.

Le diverse forme dell’ambush marketing
Questa tipologia di marketing può assumere diverse accezioni a seconda della modalità di esecuzione. Potrà quindi trattarsi di:
– “predatory ambush” (o ambush per associazione): l’associazione all’evento si realizza tramite un uso indebito di loghi, segni distintivi dello stesso o mediante richiami indiretti;
– “insurgent ambush”: l’associazione all’evento avviene mediante iniziative a sorpresa che si realizzano dove ha luogo la manifestazione;
– “saturation ambush”: l’ambusher impiega tutti gli spazi pubblicitari disponibili in prossimità dell’evento per limitare o sabotare l’attività promozionale dello sponsor ufficiale.
Il richiamo alla manifestazione può pertanto essere diretto o indiretto, in alcune ipotesi addirittura accidentale. Si pensi all’ambusher che non intende sfruttare un evento ma che ne trae ugualmente benefici.
In ogni caso, l’ambush marketing si fonda su uno spirito concorrenziale falsato, lontano dalle logiche dei canali pubblicitari ufficiali, che mira ad annientare i concorrenti con l’inganno.
Tuttavia contrastare questo fenomeno non è sempre un’operazione fattibile poiché gli strumenti di tutela tradizionali spesso si rivelano inadeguati.

Profili giuridici
Il disegno di legge proposto assolve la funzione di stilare un elenco di condotte collocabili nell’ambush marketing, prevedendo altresì un sistema sanzionatorio amministrativo ad hoc per tutte le pratiche lesive della concorrenza.
La difficoltà di individuare espressamente le condotte anticoncorrenziali si rinviene nella necessità di bilanciare gli interessi e le aspettative economiche di tutti gli operatori, anche di quelli non autorizzati.
Sarà quindi necessaria una valutazione dell’effettiva lesività delle attività posta in essere dal concorrente estraneo alla manifestazione, salvaguardando al contempo l’investimento economico di organizzatori e sponsor ufficiali ma anche la libera concorrenza e la libertà di espressione.
Ad oggi, in attesa di una disciplina normativa specifica, per il contrasto al fenomeno dell’ambush marketing ci si rifa alla disciplina della tutela del marchio rinomato prevista dal codice di proprietà industriale quando, ad esempio, viene impiegato un segno distintivo di un evento.
Solitamente però l’ambusher, consapevole della scorrettezza del proprio comportamento, predilige un richiamo indiretto alla manifestazione, pertanto in questi casi si ricorrerà alla disciplina della concorrenza sleale.
In questo ambito tuttavia si pone un limite soggettivo del rapporto concorrenziale che non sussisterebbe tra l’organizzatore e l’ambusher, ma solo tra le imprese di cui si fa pubblicità.
Ciononostante la giurisprudenza maggioritaria parrebbe essere orientata nel riconoscere tale forma di tutela anche all’organizzatore, pur operante a livelli economici diversi, a condizione che il risultato ultimo delle attività svolte incida sulla stessa clientela. E’ di tutta evidenza che il danno derivante da una condotta anticoncorrenziale si configurerà come sviamento della clientela finale.
Più in generale, in questo contesto lo strumento maggiormente invocato e più versatile rimane quello individuato all’art. 2598, n. 3, c.c., che si presta a diverse fattispecie di atti anticoncorrenziali.
Un altro strumento, nell’ambito delle pratiche commerciali ingannevoli, a cui potrà essere utile fare ricorso riguarderà la normativa del Codice del Consumo, in particolare all’art. 21, 1° comma , lett. c) e f) sulle azioni ingannevoli, che parrebbe prestarsi anche all’ambush marketing, sebbene pure in questo caso possa sorgere la necessità di accertare l’induzione in errore dell’utente finale.
Ed ancora, si potrebbe fare ricorso all’autodisciplina pubblicitaria, al diritto d’autore, a strumenti contrattuali sino a strumenti di diritto pubblico.
Rimane il fatto che di tutti gli strumenti di tutela richiamati nessuno tratta in maniera specifica la pratica dell’ambush marketing. Pertanto, pare auspicabile che prenda forma, una volta per tutte, una regolamentazione scrupolosa del fenomeno di cui si è trattato, soprattutto in vista delle crescenti possibilità di comunicazione che offre il web.

Il mondo del marketing è bello perché è vario ma talvolta si avvale di strumenti al confine della liceità. Ci si spinge sempre al limite alla ricerca della strategia perfetta ma spesso ci si dimentica che anche l’utente sta diventando sempre più conscio del suo potere.
Per quanto non goda di ottima fame, il fenomeno di ambush marketing – se non altro per ora – non viola alcuna legge, pertanto ogni fattispecie dovrà essere valutata nel contesto concreto, a seconda della reale intenzionalità della azienda che agisce in mala fede.
VP