Apologia di reato e condivisione sui social della propaganda jihadista (Cass. pen., sent. n. 11581/2021)

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Condividere sui social network contenuti di propaganda jihadista può configurare il delitto di apologia di reato ex art. 414 c.p. (Cass. Pen, Sez. I, sent. n. 11581/2021).

Per apologia di reato si intende la condotta consistente nella difesa o nell’esaltazione di fatti o comportamenti contrari alla legge. In particolare, nella vicenda recentemente trattata dalla Suprema corte,  il sostegno allo Stato islamico e l’approvazione nonché l’incitamento ad atti terroristici. 

Il fatto

Nel 2018 la Corte d’assise di Napoli condannava un uomo alla pena di otto anni di reclusione per il delitto di cui all’art. 270 bis c.p. (“Associazioni con finalità di terrorismo anche internazionale o di eversione dell’ordine democratico”), ritenendo in esso assorbito l’ulteriore reato di cui all’art. 414 c.p. (“Istigazione a delinquere”), aggravato dalla finalità di terrorismo.

L’uomo aveva postato su Facebook materiale di ritenuta natura apologetica. Segnatamente aveva condiviso sul proprio profilo personale immagini e video a favore dell’Isis. 

Nel 2019 la Corte d’assise d’appello di Napoli assolveva l’imputato dal reato associativo per insussistenza del fatto e rideterminava la pena inflitta all’imputato in quella di cui al quarto comma dell’art. 414 c.p., in sei anni e quattro mesi di reclusione.

Avverso tale sentenza, l’imputato ricorreva per Cassazione.

La decisione della Suprema Corte

La sezione prima penale della Corte di Cassazione rigetta il ricorso ritenendolo complessivamente infondato. 

In quest’ottica, precisa che: “i reati di istigazione a delinquere e di apologia di delitto, puniti ai commi primo e terzo dell’art. 414 c.p., costituiscono fattispecie di pericolo concreto e richiedono perciò per la loro configurazione un comportamento che sia concretamente idoneo, sulla base di un giudizio ex ante, a provocare la commissione di delitti; l’accertamento concreto se l’esaltazione apologetica di un fatto di reato sia idonea, per le sue modalità, a provocare la commissione di delitti, e dunque a integrare il reato di cui all’art. 414 c.p., é riservato al giudice di merito, il cui apprezzamento è incensurabile in sede di legittimità se correttamente motivato.”

Nel caso in esame, l’imputato condivideva sui social network link a materiale jihadista di propaganda, contribuendo e potenziando  pertanto la diffusione di detto materiale.

Pare evidente come tale condotta accresca il pericolo non solo di emulazione di atti di violenza ma anche di adesione, in forme aperte e fluide, all’associazione terroristica che li propugna.

Gli ermellini ravvisavano così che dalla condotta dell’agente ne discendesse un pericolo concreto persino per la commissione di altri reati lesivi di interessi omologhi a quelli offesi dal reato esaltato

Infatti, l’apologia di delitti di terrorismo effettuata attraverso strumenti informatici o telematici, può concernere, non soltanto la realizzazione di specifici atti di terrorismo, ma anche l’adesione di taluno a un’associazione terroristica ex art. 270 bis c.p.

Peraltro l’imputato si era reso autore di diverse condotte penalmente rilevanti, puntualmente accertate nel giudizio di primo grado.

Nello specifico:

  • aveva aderito ad un gruppo presente su facebook denominato prima “lo Stato islamico nello Stato” e poi “Iraq e Syria estensione islamica del califfato sull’esempio del Profeta”, connotato da una chiara impronta sostenitrice dell’Isis;
  • a seguito degli attentati di Parigi a Charlie Hebdo e Iper Kasher del 12 gennaio 2015, aveva condiviso un post esprimente sostegno allo Stato islamico con caratteri antioccidentali e antisionisti, supportando una ricostruzione complottista degli atti terroristici e giustificando sul piano morale la reazione degli attentatori come risposta alla libertà di satira dei giornalisti;
  • aveva condiviso delle informazioni dell’organo di propaganda dell’Isis stesso, incitando alla jihad contro i cristiani, esprimendo sostegno alla costituzione del califfato islamico ed esaltando la strategia del califfato globale predicata dall’Isis e le sue conquiste militari in Siria; 
  • aveva in più occasioni manifestato sulla piattaforma social il suo sostegno ad organizzazioni terroristiche dello scenario salafita, riconducibili al Daesh, come le brigate Al Kassam
  • aveva scelto come immagine del proprio profilo il vessillo di gruppi terroristici di matrice islamista operanti in Libia e in Siria, quale evidente espressione di sostegno; 
  • aveva postato contenuti di esaltazione degli omicidi commessi con modalità brutali (decapitazioni, sgozzamenti) dall’Isis, sostenendo non solo l’ideologia di tale organizzazione ma anche il suo atroce modus operandi; 
  • sottolineava, nella esaltazione dei combattenti islamisti e dei martiri della jihad, la giustezza della loro azione; 
  • esaltava ed idolatrava figure simbolo del terrorismo islamico internazionale, tra le quali lo sceicco Anwar El Awlaqi, al quale gli attentatori di Parigi avevano dichiarato di essersi ispirati, e Sajida al Rishawi, condannata per un attentato ad Amman che aveva causato 61 vittime; 
  • divulgava persino la traccia audio postata dall’autore del duplice attentato del 14 e 15 febbraio 2015 a Copenaghen sul proprio profilo Facebook.

Come precisato dalla Corte, trattasi di condotte, consistite nella pubblicazione e nella condivisione di file di testo, immagini, video e altri contenuti multimediali provenienti direttamente dall’associazione terroristica (Isis) e da altri soggetti che ne avevano condiviso in rete i materiali, e talora redatti personalmente dall’imputato, la cui materialità non era stata peraltro contestata in sede di interrogatorio dallo stesso agente.

L’uomo infatti si era limitato a sminuirne il significato e la rilevanza penale delle sue azioni, nonostante emergesse chiaramente la natura nonché la funzione propagandistica/apologetica dell’associazione terroristica delle stesse, concretamente idonee a determinare l’effettiva commissione di ulteriori reati della stessa specie, anche mediante la sollecitazione dell’adesione di nuovi adepti al sodalizio criminale.

L’attività realizzata dall’uomo non poteva quindi rappresentare   “legittima espressione del proprio pensiero politico-religioso, nell’esercizio del diritto riconosciuto dall’art. 21 Cost.

Inoltre, a nulla rilevava la circostanza che l’uomo non avesse un numero cospicuo di “amici” del profilo facebook o di “like” ai contenuti  da lui condivisi o postati.

A tal proposito la Suprema corte sottolinea che: “Stante la pacifica natura di reato di pericolo della violazione dell’art. 414 c.p., ad integrare il reato basta la concreta possibilità che la diffusione, continuativa e ingravescente come nella specie, di documenti di contenuto apologetico e propagandista inneggianti allo Stato islamico e alle attività terroristiche dell’Isis, crei o comunque incrementi il rischio potenziale di commissione di reati lesivi di beni omologhi di quelli offesi dai crimini esaltati, ciò che é stato puntualmente verificato dai giudici di merito con riguardo alla situazione di pericolo concreto determinata dall’azione comunicativa dell’imputato indirizzata a una platea indeterminata di destinatari/utilizzatori della medesima piattaforma internet, accentuata dall’enorme capacità diffusiva dello strumento telematico.”

In considerazione della condotta complessiva, che non lascia spazio ad equivoci, dell’agente, la Corte ne conferma la condanna per il reato di apologia per via telematica dell’organizzazione terroristica dell’Isis.

Integra pertanto il reato di apologia di delitti di terrorismo, punito dall’art. 414, quarto comma, c.p., la diffusione di documenti di contenuto apologetico inneggianti allo Stato islamico o alle attività terroristiche dell’Isis, mediante il loro inserimento (o la loro condivisione) su piattaforme – o social media – internet, in considerazione sia della natura di organizzazioni terroristiche, rilevanti ai sensi dell’art. 270-bis c.p., delle consorterie di ispirazione jihadista operanti su scala internazionale, sia della potenzialità diffusiva indefinita di tale modalità comunicativa.

Conclusione

Con la sentenza n. 11581 del 2021 la Suprema Corte conferma quindi la condanna dell’uomo sulla scorta della sua consapevole volontà di diffusione del messaggio terroristico.

L’uomo, con una fanatica e continua esaltazione di un’organizzazione terroristica e delle sue gesta, svolgeva una sistematica attività di proselitismo a favore della stessa ed alimentando un numero indeterminato di adesioni e condivisioni da parte di altri soggetti. 

A tradire le sue intenzioni, anche la sua storia personale di progressiva auto-radicalizzazione, nonché i contenuti delle conversazioni oggetto di intercettazione ambientale avvenute a bordo dell’autovettura utilizzata dall’uomo, attestanti la sistematica opera di persuasione e di propaganda delle idee jihadiste e delle azioni dell’Isis svolta anche personalmente dall’uomo nei confronti dei suoi interlocutori ed accompagnatori, per lo più della medesima estrazione religiosa

In conclusione, la condivisione mediante la rete internet (e sulle piattaforme social in particolare) di materiale la cui provenienza è oggettivamente riconosciuta come di natura terroristica (a livello internazionale), corredata da rappresentazioni faziose di tragici avvenimenti e con la palese finalità di esaltare le azioni e gli scopi di organizzazione antidemocratiche e sovversive, paventandone peraltro l’adesione come frutto di una scelta corretta e addirittura doverosa, può integrare reato di cui all’art. 414 c.p.

“Chiunque pubblicamente istiga a commettere uno o più reati è punito, per il solo fatto dell’istigazione:

  1. con la reclusione da uno a cinque anni, se trattasi di istigazione a commettere delitti;
  2. con la reclusione fino a un anno, ovvero con la multa fino a euro 206, se trattasi di istigazione a commettere contravvenzioni.

Se si tratta di istigazione a commettere uno o più delitti e una o più contravvenzioni, si applica la pena stabilita nel numero 1.

Alla pena stabilita nel numero 1 soggiace anche chi pubblicamente fa l’apologia di uno o più delitti. La pena prevista dal presente comma nonché dal primo e dal secondo comma è aumentata se il fatto è commesso attraverso strumenti informatici o telematici.

Fuori dei casi di cui all’articolo 302, se l’istigazione o l’apologia di cui ai commi precedenti riguarda delitti di terrorismo o crimini contro l’umanità la pena è aumentata della metà. La pena è aumentata fino a due terzi se il fatto è commesso attraverso strumenti informatici o telematici.”

VP

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