Con la sentenza n. 28571/2020 la Cassazione ha ribadito che anche la persecuzione telematica, perpetrata da un ex partner a mezzo social media configura il reato di stalking ex art. 612 bis c.p.

La Corte di Cassazione torna a parlare di cyberstalking con la sentenza n. 28571/2020, nella quale ribadisce ancora una volta che la persecuzione online integra il reato di atti persecutori.
Il caso
Nella fattispecie una donna molestava l’ex convivente trasmettendogli numerosi messaggi tramite WhatsApp e pubblicando sul profilo Facebook dell’uomo diversi post.
Alla indagata veniva applicata la misura cautelare del divieto di avvicinamento alla persona offesa in relazione al reato di atti persecutori sia ai danni dell’uomo che della figlia nonché di lesioni personali a danno del primo e di violenza privata ai danni della seconda.
Contro tale provvedimento la donna faceva ricorso al Tribunale del Riesame che tuttavia confermava la richiesta cautelare nei suoi confronti.
Tale ordinanza veniva infine impugnata dinanzi la Suprema Corte deducendo un vizio di motivazione. La difesa della signora lamentava l’insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, rinvenendo invece meri indizi di scarsa consistenza e l’insussistenza delle esigenze cautelari sotto il profilo della concretezza ed attualità.
La decisione
La quinta sezione penale della Corte di Cassazione rigetta il ricorso.
Nello specifico, con riferimento alla prima doglianza concernente l’insussistenza di gravi indizi di colpevolezza, la Corte sottolinea che il ricorso contesta genericamente la consistenza indiziaria, senza tuttavia offrire qualsivoglia confronto argomentativo con il provvedimento impugnato.
Il Tribunale della Libertà, per affermare la gravità indiziaria dei reati contestati – con particolare riferimento alla persecuzione telematica posta in essere dall’indagata nei confronti dell’ex convivente e della figlia di costui, divenuti vittime altresì di pedinamenti, inseguimenti con l’auto (con un tentativo di speronamento ai danni della giovane) ed un’aggressione fisica ai danni dell’uomo – ha richiamato le denunce delle due persone offese ed i riscontri rinvenuti nei messaggi di WhatsApp e nei post di Facebook, nonché delle dichiarazioni di testimoni.
Per quanto riguarda la questione delle esigenze cautelari, il ricorso si limita a sostenere una carenza di attualità del pericolo di reiterazione.
L’art. 274, lett. c), c.p.p., così come modificato dalla Legge n. 47 del 2015, prevede che affinché la misura cautelare possa essere disposta debba perlomeno sussistere il “concreto ed attuale pericolo” che l’imputato (o l’indagato) commetta altri delitti.
A tal fine, la difesa della indagata richiama l’orientamento giurisprudenziale (peraltro minoritario) secondo il quale non è sufficiente ritenere – in termini di certezza o di alta probabilità – che l’imputato torni a delinquere qualora se ne presenti l’occasione, ma è anche necessario prevedere – negli stessi termini di certezza o di alta probabilità – che all’imputato si presenti effettivamente un’occasione per compiere ulteriori delitti.
Tuttavia, pur invocando tale principio la Corte non lo ritiene condivisibile perché alla luce di una lettura sistematica delle norme processuali – posto che il codice compie una precisa distinzione tra “esigenze cautelari” (art. 274 c.p.p.), “eccezionali esigenze cautelari” (art. 309 c.p.p.) ed “esigenze cautelari di eccezionale rilevanza” (artt. 275 c.p.p. e art. 89 DPR 309/1990) – si evince che l’attualità non deve confondersi con l’immediatezza.
Secondo gli ermellini:
il requisito della attualità non può essere equiparato all’imminenza del pericolo di commissione di un ulteriore reato (o di fuga, o di inquinamento probatorio) ma sta invece ad indicare la continuità del periculum libertatis nella sua dimensione temporale, che va apprezzata sulla base della vicinanza ai fatti in cui si è manifestata la potenzialità criminale dell’indagato, ovvero della presenza di elementi indicativi recenti, idonei a dar conto della effettività del pericolo di concretizzazione dei rischi che la misura cautelare è chiamata a neutralizzare.
Alla luce di ciò, l’attualità e la concretezza delle esigenze cautelari sono da intendersi nella “elevata probabilità” che il reato della stessa specie venga reiterato.
Inoltre, come precisato dalla Corte, il pericolo di reiterazione di reati “della stessa specie” deve essere inteso nel senso di pericolo di reiterazione di astratti reati della stessa specie e non del concreto fatto reato oggetto di contestazione.
Nella fattispecie, l’ordinanza del Tribunale del riesame ha correttamente rinvenuto il concreto ed attuale pericolo di reiterazione sulla base della “serialità” delle condotte persecutorie, della estensione delle stesse anche alla figlia dell’ex compagno e dell’escalation manifestata con il pericoloso inseguimento con tentativo di speronamento della giovane e con l’aggressione dell’uomo.
VP