Diffamazione su Facebook: necessaria la verifica dell’indirizzo IP (Cass. Pen., Sez. V, sent. n. 5352/2018)

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Secondo la Corte di Cassazione non sussiste il reato di diffamazione a mezzo web se non è possibile risalire all’indirizzo IP da cui proviene il messaggio offensivo della reputazione altrui. Per accertare, quindi, la paternità di un post su Facebook non è sufficiente indicare il solo account dal quale viene pubblicato.

La vicenda

Nel 2016 la Corte di Appello di Lecce confermava la sentenza di condanna pronunciata dal Tribunale di Brindisi nei confronti di una sindacalista per il reato di diffamazione di cui all’art. 595, comma 3, c.p.. La donna avrebbe, infatti, pubblicato un post su Facebook nel quale offendeva gravemente il Sindaco del paese di residenza, criticandone l’operato.

Avverso questa decisione l’imputata ricorreva in Cassazione, lamentando la mancata acquisizione nel processo dell’indirizzo IP dal quale provenivano i messaggi denigratori e dei cd. file di log con i tempi e gli orari della connessione.

L’indirizzo IP è un dato (codice numerico) attribuito ad ogni dispositivo elettronico che consente di identificare, in via esclusiva, il titolare della linea telefonica alla quale tale dispositivo è associato.

La ricorrente sosteneva infatti che nelle indagini svolte in origine dalla parte civile era emerso che l’indirizzo IP individuato era risultato intestato al profilo facebook di un altro sindacalista, sul quale scrivevano diversi utenti.

Il convincimento del Giudice di prime cure, confermato dalla Corte territoriale, si era fondato principalmente su tre elementi indiziari:

  1. la frase diffamatoria proveniva da un profilo Facebook che riportava nome e cognome della donna e non era mai stato disconosciuto dalla stessa;
  2. il messaggio offensivo veniva pubblicato nell’ambito di un forum che trattava dei diritti dei lavoratori del comune che il sindaco offeso amministrava e l’imputata, all’epoca dei fatti, svolgeva la professione di sindacalista; pertanto poteva avere un ragionevole interesse nell’esprimere un parere negativo;
  3. la sindacalista non aveva sporto alcuna denuncia per furto di identità da parte di terzi.

Tali indizi, ritenuti gravi, precisi e concordanti ai sensi dell’art. 192, comma 2, c.p.p. erano sufficienti, secondo i magistrati, per desumere la sussistenza della responsabilità penale in capo alla donna.

La Suprema Corte si pronuncia sulla vicenda con la sentenza n. 5352/2018, ribaltandone le sorti.

Gli ermellini, infatti, accolgono le lagnanze della sindacalista, ravvisando il mancato riscontro dell’indirizzo IP di provenienza, segnalato dalla difesa della donna, oltre alla carenza istruttoria sulla verifica tecnica di tempi e orari della connessione.

Le motivazioni poste a fondamento della decisione della Corte di Appello, infatti, non si sono confrontate con le argomentazioni difensive sull’accertamento dell’IP, sulla conseguente verifica del titolare della linea telefonica ad esso associata ed infine sulla riconducibilità al profilo Facebook.

Alla luce di quanto detto, la Suprema Corte ha ritenuto fondate le contestazioni mosse dalla ricorrente, sottolineando una motivazione carente ed insufficiente della sentenza impugnata, in particolare sulla possibilità che un terzo possa aver agito con il nickname della sindacalista. Per tali ragioni il criterio legale di valutazione della prova è stato mal interpretato e la sindacalista è stata definitivamente assolta.

Conclusioni

La paternità di un post offensivo su Facebook (e sui Social network in generale) necessità di un accertamento dell’indirizzo IP di provenienza per integrare il reato di diffamazione ex art. 595 c.p.

In difetto di tale indagine non è possibile associare un generico nickname ad una persona fisica reale, anche nel caso corrispondano (ad esempio in termini di nome e cognome).

La quinta sezione penale della Corte di Cassazione, in questa importante sentenza, precisa infine che nella valutazione delle prove nell’ambito dei reati informatici è necessario non trascurare gli aspetti di natura tecnologica.

VP

(1) Commento

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