Diritto alla Deindicizzazione: l’evoluzione del diritto all’oblio alla luce dell’Ordinanza della Corte di Cassazione n. 9147/2020

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Secondo la definizione fornita dalla Corte di Cassazione, per diritto all’oblio si intende: “il diritto a non rimanere esposti, senza limiti di tempo, ad una rappresentazione non più attuale della propria persona, con pregiudizio alla reputazione ed alla riservatezza, per la ripubblicazione – a distanza di un importante intervallo temporale destinato ad integrare il diritto ed al cui decorso si accompagni una diversa identità della persona – o il mantenimento senza limiti temporali di una notizia relativa a fatti commessi in passato, che nella sua versione dinamica consiste nel potere, attribuito al titolare del diritto, al controllo del trattamento dei dati personali ad opera di terzi responsabili”.

Il giusto interesse di una persona nel non rimanere esposta indeterminatamente ai danni ulteriori che arreca al suo onore e alla sua reputazione la reiterata pubblicazione di una notizia in passato legittimamente divulgata, può subire delle compressioni in vista di un interesse pubblico alla notizia.

In quest’ottica nasce l’esigenza di realizzare un bilanciamento tra gli interessi in gioco, da una parte il diritto di cronaca, il diritto di manifestare il proprio pensiero ed il diritto della collettività a conoscere un fatto, dall’altra il diritto del singolo (autore o protagonista del fatto) ad essere “dimenticato” ed alla rimozione della notizia obsoleta e dannosa.

La vicenda

Una società operante nel settore sanitario chiedeva la rimozione di una notizia giornalistica pubblicata su un magazine online, poiché ritenuta lesiva della propria immagine.

In particolare, la suddetta società lamentava l’indicizzazione da parte dei motori di ricerca (tra cui Google) del fatto di cronaca giudiziaria che l’aveva vista protagonista poco tempo prima.

Il tribunale accoglieva la domanda valorizzando il dato certo della persistenza in rete dell’articolo in questione e ritenendo illegittimo il fatto che i dati personali del ricorrente, già oggetto di notizia di cronaca, fossero rimasti memorizzati nella rete Internet, senza l’osservanza dei criteri che ne avrebbero consentito il lecito trattamento.

Secondo il giudice di prime cure era infatti venuta meno la finalità di cronaca giornalistica poiché la vicenda si era conclusa con una sentenza di patteggiamento.

Pertanto la mancanza di qualunque altro nuovo elemento faceva perdere il requisito dell’attualità della notizia facendo così sorgere in capo all’interessato il diritto all’oblio a tutela della propria immagine, che si compone sia nel diritto ad un aggiornamento (e contestualizzazione) della notizia di cronaca, ma anche nella sua cancellazione, in difetto di un persistente interesse pubblico alla sua conoscenza.

La testata giornalistica ricorreva in Cassazione. Segnatamente, riteneva la sentenza impugnata in netto contrasto con precedenti decisioni di merito assunte dal medesimo tribunale, secondo le quali non è lecito imporre alla testate giornalistiche la distruzione del proprio archivio storico potendo la sopravvenuta “irritualità” della notizia ricevere tutela dalla deindicizzazione da parte dei motori di ricerca e quindi impedendone la diretta visibilità.

In tale contesto, a nulla rileva che l’articolo sia conservato in un archivio cartaceo o informatizzato, svolgendo entrambi la medesima funzione.

Inoltre la pronuncia di primo grado non avrebbe tenuto conto che il trattamento dei dati nell’esercizio della professione di giornalista ammetta delle condizioni diverse.

A tal fine il “Codice di deontologia sul trattamento dei dati personali nell’esercizio dell’attività giornalistica” del 29 luglio 1998, all’art. 12, prevede che il trattamento dei dati relativi a procedimenti penali non subisce limite e rientra ancora nell’attività giornalistica ove effettuato attraverso la conservazione nell’archivio online per fini storici.

Tra gli altri motivi di ricorso emergeva inoltre il poco tempo trascorso dalla richiesta di esercizio del diritto all’oblio. La società chiedeva di essere dimenticata dall’opinione pubblica a distanza soltanto di un anno e sei mesi dalla vicenda giudiziaria che l’aveva vista coinvolta.

In quest’ottica la notizia poteva considerarsi ancora attuale, non avendo il giudice di primo grado valutato l’interesse pubblico alla conoscenza degli ulteriori sviluppi e dell’esito del procedimento.

La decisione

Secondo gli ermellini: “Il trattamento dei dati personali non è qui affidato ad una nuova pubblicazione della notizia, per un prodotto editoriale diverso ed originale rispetto al primigenio, espressione del diritto di cronaca e di manifestazione del pensiero (art. 21 Cost.), ma si attua attraverso la riproposizione o conservazione in rete della originaria notizia che resta sine die accessibile attraverso l’indicizzazione tramite i motori di ricerca”.

Se da un lato la fattispecie ripropone l’annoso tema del bilanciamento tra diritto all’oblio e diritto di cronaca, quale trattamento della notizia per finalità storico-archivistica, dall’altro introduce anche la questione del ruolo del gestore del motore di ricerca, che nella sua operatività in Internet amplifica, negli effetti, pure la memoria dell’archivio online del quotidiano in formato digitale.

Nel caso di specie si tratta innanzitutto di stabilire se l’archiviazione delle notizie per finalità storica sia una modalità di trattamento compatibile con l’iniziale raccolta a scopi giornalistici e se l’attività di raccolta così compiuta risponda ad un interesse pubblico.

La risposta risiede nel Codice Privacy che ammette la compatibilità del trattamento dei dati personali per scopo storico, statistico o scientifico con i diversi scopi per i quali i dati erano stati in precedenza raccolti o trattati e può avvenire oltre il tempo necessario per conseguire tali scopi originari.

Attribuendo altresì alla finalità storica una accezione più ampia, destinata a ricomprendere con quella di studio, indagine e ricerca anche quella di “documentazione di figure, fatti e circostanze del passato”.

La Suprema Corte precisa che “L’attività di conservazione delle raccolte delle edizioni dei giornali pubblicate risponde ad un pubblico interesse tanto da assumere un duplice rilievo costituzionale: a) in quanto strumentale alla ricerca storica ed espressione del correlato diritto (art. 33 Cost.); b) in quanto espressione del diritto di manifestare liberamente il pensiero (artt. 21 e 33 Cost.).”

In considerazione di ciò, occorrerà quindi effettuare un contemperamento tra il dato archiviato ed il diritto all’oblio, attraverso cui la persona protagonista della notizia, salvi i limiti di verità di quest’ultima, non potrà ottenerne la cancellazione dall’archivio di un giornale online invocando il diritto ad essere dimenticata e tanto nell’assolta finalità documentaristica dell’archivio inteso, nei suoi contenuti, quale declinazione del diritto all’informazione.

Il carattere digitale del mezzo (archivio online) non snatura la sua funzione che risiede nella creazione di una memoria collettiva calibrata sugli accadimenti di cronaca e con finalità storico-sociale.

Tutto ciò premesso, gli ermellini individuano una seconda questione che concerne il rimedio o l’alternativa alla cancellazione delle informazioni indesiderate.

Ciò che procura danno al protagonista di un fatto oggetto di cronaca è la possibilità che il web offre di accedere indistintamente a determinate informazioni.

Il diritto all’oblio assume infatti rilievo quando digitando nella query del motore di ricerca un nominativo, questo venga associato in automatico ad un determinato evento, per l’avvenuta indicizzazione da parte dello stesso motore di ricerca.

Per indicizzazione si intende l’inserimento di un sito web o un blog nel database di un motore di ricerca. L’indicizzazione di un sito internet, in altre parole, è il modo in cui il sito viene acquisito e interpretato dai motori di ricerca e quindi compare nelle loro pagine di risposta alle interrogazioni degli utenti web.

Tuttavia all’interno di un archivio digitale, come in quello cartaceo, di una testata giornalistica, le notizie sono organizzate cronologicamente e con indicazione, per ciascuna, del proprio autore, restando, come tali, ricomprese in contesti non anonimi, di contro in internet le informazioni vengono appiattite, estrapolate e spesso una notizia viene decontestualizzata.

La Suprema corte richiama all’uopo una nota sentenza della Corte di Giustizia dell’Ue pronunciata nella causa C-131/12 (Google Spain SL, Google Inc. G. Agenda Espanola de Proteccion de Datos (AEPD), Mario Costeja Gonzalez), il 13 maggio 2014, sugli obblighi dei gestori di motori di ricerca per la tutela dei dati personali delle persone che non desiderano l’indicizzazione e pubblicazione in modo indefinito di alcune informazioni.

In tale pronuncia il gestore del motore di ricerca (cd. ISP – Internet Service Provider) è il “responsabile” del trattamento dei dati personali nell’ambito delle sue responsabilità, competenze e possibilità e come tale chiamato ad assicurare il rispetto delle prescrizioni della direttiva 95/46/CE (oggi abrogata dal GDPR – Reg. Eu. 2016/679), relativa alla tutela delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati.

Per tale ragione il gestore del motore di ricerca è obbligato ad intervenire sull’elenco delle informazioni indicizzate provvedendo ad eliminare il link di raccordo verso pagine web dell’archivio online che riportino informazioni sulla persona il cui nome sia stato digitato sulla query del motore di ricerca e “ciò eventualmente anche quando la loro pubblicazione su tali pagine web sia di per sè lecita“.

Come precisato dalla sentenza summenzionata: “Un trattamento inizialmente lecito di dati esatti può divenire, con il tempo, incompatibile con la direttiva qualora tali dati non si pongano più in rapporto alle finalità per le quali sono stati raccolti o trattati: tanto è destinato a valere nel caso in cui i dati appaiano inadeguati, non siano o non siano più pertinenti, oppure siano eccessivi rispetto alle finalità suddette e al tempo trascorso”.

Stesse conclusioni  ribadite dalla Corte di Giustizia, con la sentenza del 24 settembre 2019, nella causa C-136/17 (GC, AF, BH e ED, Commission nationale de l’informatique et des libertes (CNIL) (Francia) Google Inc.), in cui peraltro la richiesta di deindicizzazione riguardava un link verso pagine web riguardanti “condanne penali“.

Nel caso di specie il gestore del motore di ricerca è obbligato ad intervenire sull’elenco delle informazioni indicizzate, attualizzando la notizia relativa a vicenda giudiziaria penale dell’interessato facendo figurare per primi i link verso pagine web contenenti informazioni attuali sulla situazione dell’interessato.

Non sfugge alla Corte di Giustizia nel ragionamento sviluppato, il ricorso al criterio del bilanciamento dei diritti in valutazione: i diritti fondamentali della persona ed il diritto alla libertà di espressione, garantiti, rispettivamente, dagli artt. 7, 8 e 11 della “Carta dei diritti fondamentali dell’UE” (c.d. Carta di Nizza).

Invero, il diritto alla protezione dei dati personali non è un diritto assoluto, ma deve essere considerato in relazione alla sua funzione sociale ed essere bilanciato con altri diritti fondamentali, conformemente al principio di proporzionalità (Considerando 4 al GDPR 2016/679).

In particolare, l’art. 17 GDPR esclude il diritto alla cancellazione (cd. diritto all’oblio) in capo all’interessato, qualora il trattamento sia necessario per l’esercizio del diritto alla libertà di espressione e di informazione.

Alla luce delle considerazioni svolte, la Corte di cassazione accoglie il ricorso proposto dalla testata giornalista e con l’ordinanza commentata ha ripercorso l’evoluzione storica del diritto all’oblio ribadendone i principi.

In tale pronuncia ha sottolineato ancora una volta i punti cardine per l’esercizio del diritto all’oblio: la valutazione del tempo trascorso, ovvero l’anzianità della notizia, ed il bilanciamento degli interessi in gioco.

In ogni caso, conclude: “In materia di diritto all’oblio là dove il suo titolare lamenti la presenza sul web di una informazione che lo riguardi – appartenente al passato e che egli voglia tenere per sè a tutela della sua identità e riservatezza – e la sua riemersione senza limiti di tempo all’esito della consultazione di un motore di ricerca avviata tramite la digitazione sulla relativa query del proprio nome e cognome, la tutela del menzionato diritto va posta in bilanciamento con l’interesse pubblico alla conoscenza del fatto, espressione del diritto di manifestazione del pensiero e quindi di cronaca e di conservazione della notizia per finalità storico-sociale e documentaristica, e può trovare soddisfazione, fermo il carattere lecito della prima pubblicazione, nella deindicizzazione dell’articolo sui motori di ricerca generali, o in quelli predisposti dall’editore“.

VP

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