Documento informatico: la differenza tra copia e duplicato nel processo civile telematico

Read 3 min
Con l’ordinanza n. 27379/2022 del 19 settembre, la Corte di Cassazione ha chiarito la differenza tra duplicato informatico e copia informatica degli atti giudiziari digitali che vengono estratti dai fascicoli telematici.

La vicenda

Alcuni fideiussori di una società – successivamente fallita – proponevano opposizione avverso un decreto ingiuntivo, agli stessi notificato dall’istituto bancario creditore. 

L’opposizione veniva respinta dal Tribunale di Livorno.

La sentenza resa dal Giudice di 1° grado veniva quindi appellata dinanzi alla Corte d’appello di Firenze, la quale dichiarava inammissibile per tardività l’appello proposto dai medesimi perché proposto oltre il termine breve di trenta giorni decorrenti dalla notifica della sentenza impugnata, eseguita due volte dalla banca a distanza di cinque giorni l’una dall’altra.

Tale decisione veniva infine impugnata dinanzi alla Corte di Cassazione.

Secondo i ricorrenti la prima notificazione della sentenza di primo grado sarebbe stata nulla, posto che la sentenza medesima non riportava “né la firma digitale né quella autografa del giudice che l’aveva emessa.”

Pertanto la sentenza notificata: “costituiva un documento, che ancorché autenticato dall’avvocato, non poteva essere considerato un provvedimento giurisdizionale in quanto privo sia della sottoscrizione del giudice in calce all’atto, sia della firma digitale, non presentando quel documento alcun segno grafico (coccarda e stringa) da cui si potesse presumere l’avvenuta sottoscrizione”.

Alla stregua di questa impostazione la Banca aveva autenticato un atto inesistente e quindi inidoneo a far decorrere il termine breve ex art. 326 c.p.c., con la conseguenza che la Corte d’Appello avrebbe dovuto considerare come termine di decorrenza per la proposizione dell’appello quello della seconda notifica.

La decisione della Corte di Cassazione

Con l’ordinanza n. n. 27379/2022, la Suprema Corte rigetta il ricorso ritenendolo manifestamente infondato.

I ricorrenti avrebbe infatti confuso l’istituto del duplicato informato della sentenza sottoscritta telematicamente con quello della copia informatica della stessa.

Gli ermellini chiariscono, a tal fine, che:

“I requisiti che i ricorrenti associano al duplicato informatico appartengono, invece, alla copia informatica di un documento nativo digitale, la quale presenta effettivamente, sul bordo destro delle pagine, la “coccarda” e la stringa alfanumerica indicante i firmatari dell’atto/provvedimento, segni grafici, che sono generati dal programma ministeriale in uso alle cancellerie degli uffici giudiziari e che non rappresentano, peraltro, la firma digitale, ma una mera attestazione in merito alla firma digitale apposta sull’originale di quel documento”.

Gli artt. 1 lett. i-quinques CAD (Codice dell’Amministrazione digitale) e 16-bis, co. 9-bis D.L.179/2012 prevedono che: “il duplicato informatico è il documento informatico ottenuto mediante la memorizzazione, sullo stesso dispositivo o su dispositivi diversi, della medesima sequenza di valori binari del documento originario (che si misurano in bit).”

Ne consegue che la corrispondenza del duplicato informatico (in ogni singolo bit) al documento originario non emerge (come, invece, nelle copie informatiche) dall’uso di segni grafici.

Come correttamente evidenziato dalla Corte territoriale: “il duplicato informatico della sentenza, seppur non materialmente visibile, era comunque esistente e poteva essere verificato attraverso i programmi di verifica della firma elettronica”

La firma digitale è, infatti, una sottoscrizione in “bit”, una firma elettronica, il cui segno, restando nel file, è invisibile sull’atto analogico, ovvero sulla carta – ma dall’uso di programmi di algoritmi, che consentano di verificare e confrontare l’impronta del file originario con il duplicato (esattamente).

Oltretutto, la Suprema Corte sottolineano la non necessità di attestazione di conformità tra originale e duplicato, atteso che l’art. 23-bis del CAD, comma 1, recita che: “I duplicati informatici hanno il medesimo valore giuridico, ad ogni effetto di legge, del documento informatico da cui sono tratti, se prodotti in conformità alle Linee guida”.

Ciò detto, la Corte di Cassazione conclude che alla luce delle considerazioni svolte, l’assunto dei ricorrenti secondo cui il duplicato informatico della sentenza sarebbe privo delle firma digitale è frutto solo di un fraintendimento sul significato di duplicato informatico.

Per tali motivi la prima notifica della sentenza di primo grado effettuata dalla banca non può che ritenersi pienamente valida, con la logica conseguenza che da tale momento iniziava a decorrere il termine breve per l’impugnazione.

VP

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *