E’ reato sottrarre lo smartphone al coniuge? (Cass. pen., sez. II , sent. 26982/2020)

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Integra il reato di rapina la sottrazione dello smartphone al coniuge. Questo è quanto ha statuito la Corte di Cassazione con la recente sentenza n. 26982 del 2020.

Il caso

La vicenda riguarda due coniugi campani in fase di separazione.

In occasione dell’incontro finalizzato al ritiro degli effetti personali dall’abitazione familiare, la donna rinviene alcuni dei suoi beni danneggiati e decide di riprenderli con il telefono cellulare.

Il marito, indispettito, le sottrae il telefono cellulare con una spinta.

La polizia giudiziaria arresta l’uomo in qualità di indiziato per il reato di rapina. La misura precautelare non viene convalidata dal G.i.p.

Secondo il giudice delle indagine preliminari infatti l’indagato aveva sottratto lo smartphone per impedire che la moglie proseguisse nell’eseguire le riprese dei propri beni e non per finalità di profitto.

Per tale ragione aveva quindi ritenuto che il fatto dovesse essere qualificato come fattispecie di esercizio arbitrario delle proprie ragioni ex art. 393 c.p.: reato che non ne legittimava l’arresto.   

Art. 393 c.p. Esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza alle persone

“Chiunque, al fine indicato nell’articolo precedente, e potendo ricorrere al giudice, si fa arbitrariamente ragione da sé medesimo usando violenza o minaccia alle persone, è punito, a querela dell’offeso, con la reclusione fino a un anno.

Se il fatto è commesso anche con violenza sulle cose, alla pena della reclusione è aggiunta la multa fino a euro 206.

La pena è aumentata se la violenza o la minaccia alle persone è commessa con armi.”

Avverso l’ordinanza emessa dal G.i.p., ricorreva in Cassazione il Procuratore della Repubblica dello stesso Tribunale deducendo, con unico motivo, violazione di legge e vizio di motivazione, manifestamente illogico e contraddittorio, nella parte in cui nell’inquadrare la condotta dell’indagato nel reato di cui all’art. 393 c.p. ometteva di individuare quale fosse la pretesa tutelabile dinnanzi l’autorità giudiziaria, rispetto alla quale l’uomo avrebbe ritenuto di farsi giustizia da sé sottraendo alla moglie il telefonino.

La decisione degli Ermellini

Con la pronuncia dell’11 settembre 2020 n. 26982 gli Ermellini accolgono il ricorso del Procuratore, annullando l’ordinanza impugnata poiché l’arresto è stato legittimamente eseguito.

Secondo la Suprema Corte sottrarre il cellulare al coniuge, nel caso di specie alla moglie, integra il reato di rapina di cui all’art. 628 c.p. e non quello di esercizio arbitrario delle proprie ragioni.

Art. 628 c.p. Rapina

“Chiunque, per procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto, mediante violenza alla persona o minaccia, s’impossessa della cosa mobile altrui, sottraendola a chi la detiene, è punito con la reclusione da cinque a dieci anni e con la multa da euro 927 a euro 2.500.

Alla stessa pena soggiace chi adopera violenza o minaccia immediatamente dopo la sottrazione, per assicurare a sé o ad altri il possesso della cosa sottratta, o per procurare a sé o ad altri l’impunità.”

La Corte, richiamando le giurisprudenza di legittimità, rileva che:

“In tema di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, ai fini della configurabilità del reato, occorre che l’autore agisca nella ragionevole opinione della legittimità della sua pretesa, ovvero ad autotutela di un suo diritto suscettibile di costituire oggetto di una contestazione giudiziale, anche se detto diritto non sia realmente esistente.”

E ancora:

“Tale pretesa inoltre deve corrispondere perfettamente all’oggetto della tutela apprestata in concreto all’ordinamento giuridico, e non mirare ad ottenere un qualsiasi “quid pluris”, atteso che ciò che caratterizza il reato in questione è la sostituzione, operata dall’agente, dello strumento di tutela pubblico con quello privato”.

Nella fattispecie l’indagato con la sua condotta voleva impedire un atto, a suo dire, illecito.

Tuttavia l’esecuzione delle riprese da parte della moglie con il suo smartphone, peraltro di oggetti di sua proprietà, non può costituire una condotta illecita in grado di procurare danni a terzi soggetti.

La Corte precisa inoltre che anche se la condotta dell’indagato fosse stata una reazione, in buona fede, ad un danno dal medesimo patito, non lo avrebbe comunque legittimato a sottrarre il cellulare.

Costui avrebbe tutt’al più potuto richiedere, nelle opportune sedi, un risarcimento del danno.

Tutto ciò premesso, colui che sottrae lo smartphone con l’intenzione di esercitare un proprio diritto deve anche dimostrare per quale pretesa tutelabile ha agito, anche nel caso in cui questa non esista.

Nella vicenda trattata l’uomo voleva impedire che la moglie raccogliesse (registrando un video) le prove del danneggiamento che lo stesso aveva procurato ai suoi effetti personali e, ricorrendo ancora una volta alla violenza (spintonandola), le sottraeva lo strumento (lo smartphone di proprietà della donna) con il quale stava realizzando tali riprese.

VP

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