Ti sei mai domandato che fine farà il tuo patrimonio digitale dopo la tua morte? Ma soprattutto sai di cosa si compone e sai come tutelarlo?
Sono innumerevoli i servizi offerti online come lo sono i beni sui quali l’utente può vantare diritti di diversa natura.
La rivoluzione digitale ha portato alla luce una serie di complesse questioni legali, tra queste il fenomeno successorio post mortem.
Gran parte delle nostre vite si realizza in rete ed anche la persona meno avvezza alla tecnologia lascerà qualche traccia della sua esistenza terrena nel mondo virtuale.

Il patrimonio digitale
Il patrimonio si compone principalmente di beni materiali (mobili e immobili) e di diritti, nella titolarità dei quali gli eredi del de cuius prendono materiale possesso.
Tuttavia con l’avvento dell’era digitale si è assistito alla crescente affermazione di una nuova categoria di beni e di diritti, anch’essi dotati di rilevanza giuridica ed economica, che diventano a tutti gli effetti parte integrante dell’asse ereditario e conseguentemente oggetto di successione mortis causa.
Questa categoria, dalla dottrina denominata dei diritti (o beni) digitali – andrà a formare il patrimonio digitale e comprende tutti i beni immateriali e le situazioni giuridiche in capo all’utente nel corso della sua intera vita.
Si tratta di ogni dato creato dal defunto o su cui lo stesso vanti un diritto di proprietà esclusivo ed assoluto: si pensi ai dati relativi ai profili sui social media, agli account di posta elettronica, all’online banking, ai Software as a Service, ai servizi online, agli spazi di archiviazione su cloud, alle licenze online e alle altre proprietà digitali, alle chat, ai documenti informatici di testo, alle immagini, ai video, alle criptovalute, agli hardware, etc.
In via generale, i beni digitali vengono suddivisi in tre macro-categorie: i beni materiali che nascono come digitali; i social network e le piattaforme digitali; le password o chiavi crittografiche.
Ciononostante, la definizione dei diritti insistenti sui beni oggetto del patrimonio digitale non è sempre semplice. Difatti quando l’utente immette in rete, nel suo account, dei contenuti il diritto reale di cui gode viene compresso, poiché lo spazio digitale (l’account) non è di sua proprietà ma rimane nella disponibilità del provider del servizio, che stabilisce unilateralmente i termini contrattuali su come regolare detto spazio e ciò che in esso viene caricato, in particolare il diritto di disporre mortis causa.
L’attuale sistema giuridico non contempla tale diritto successorio nell’ambito del digitale e comporta una importante sfida per il legislatore. Si pone quindi la questione di come tutelarsi.
Come trasmettere un bene digitale
I beni ed i rapporti digitali possono essere oggetto di trasferimento mortis causa, al pari di ogni diritto disponibile.
Il testamento può essere scritto su qualsiasi supporto materiale, tuttavia l’impiego delle tecnologie potrebbe inficiarne la validità. Un testamento digitale, infatti, non assicurerebbe la certezza della paternità poiché sarebbe privo del formalismo richiesto per tale documento.
In punto al contenuto del testamento occorre esaminare quali beni digitali siano effettivamente trasferibili con questo strumento.
Con riferimento alle opere dell’ingegno di proprietà del de cuius conservate in supporti fisici o all’interno di archivi virtuali, il testatore potrà, al pari di qualsiasi altro bene materiale, trasmettere il diritto di proprietà degli hardware che contengono le opere o del file informatico oppure potrà legare il diritto di sfruttarle economicamente.
Quanto ai profili social o di altre piattaforme, comprese quelle di gioco online, la situazione è differente principalmente per due ragioni: la prima poiché nella maggior parte dei casi (vedi facebook, instagram, google, youtube, etc.) la legge applicabile è quella straniera e secondariamente perchè colui che utilizza un account di un social network non ne è proprietario.
Vale la pena indagare su questo secondo aspetto. Invero, sebbene da un lato l’utente possa gestire in autonomia il proprio profilo implementandolo di contenuti – così come ha la facoltà di rimuoverli o modificarli – dall’altro il provider – secondo le disposizioni contrattuali impiegate dalla maggior parte dei grandi player – diviene proprietario di tali contenuti.
Ne consegue che il testatore, in qualità di mero utilizzatore, non potrà trasferirne la proprietà, ma potrà legare il rapporto giuridico che lo stesso ha con il provider.
Infine in materia di password occorre fare una distinzione. Secondo la dottrina notarile la scriminante risiede nel fatto che esse proteggano l’accesso a risorse online od a risorse fisiche e solo in quest’ultima ipotesi saranno liberamente trasmissibili, purchè i contenuti ed i diritti digitali in esse contenuti siano di proprietà del testatore.
Nel caso di password di accesso a risorse online (es. profili social) queste saranno trasmissibili unicamente se le condizioni imposte dal provider lo consentano e quindi se il successore potrà subentrare nel rapporto contrattuale protetto. Tuttavia sussistono alcune eccezioni, come per le credenziali attinenti a servizi di home banking la cui trasmissione non comporta alcun diritto in capo all’erede di disporre del bene protetto.
In quest’ottica, il testamento tradizionale rimane per molti uno strumento che mal si presta alla trasmissione delle chiavi di accesso al proprio patrimonio digitale, principalmente per le caratteristiche che esso riveste nel nostro ordinamento (si basti pensare alla pubblicità che esso richiede) e pertanto poco adatto al trasferimento di dati che per loro natura dovrebbero restare riservati (come username e password).
Pertanto, in assenza di una strumento giuridico specifico in materia di trasmissione mortis causa del patrimonio digitale, è necessario avvalersi di istituti preesistenti.
Una valida alternativa consiste nel mandato post mortem exequendum. Tale negozio costituisce un normale contratto di mandato (ex art. 1703 c.c.) la cui esecuzione è posticipata alla morte del mandante.
Un soggetto (mandante) affida le sue credenziali di accesso ad una persona di fiducia (mandatario), la quale dovrà custodirle con cura e segretezza ed al momento del decesso dovrà seguire le istruzioni fornite (es. distruzione parziale o totale dei dati protetti, consegna a terzo beneficiario, etc.).
Naturalmente tale contratto sarà valido e utilizzabile a condizione che non comporti l’attribuzione al mandatario dell’incarico di compiere, dopo la morte del mandante, atti che importino l’attribuzione di diritti patrimoniali successori in contrasto con il divieto dei patti successori ex art. 458 c.c.
Un altro istituto a cui il testatore può fare ricorso è il legato di password, mediante il quale attribuisce le credenziali ad un legatario come i diritti sui contenuti che le stesse password proteggono. (art. 649 c.c. e ss)
Tuttavia anche questo strumento presenta gli stessi limiti previsti per il testamento in materia di pubblicità.
Un’ultima soluzione potrebbe essere quella di nominare un esecutore testamentario (art. 703 c.c. e ss) che tuttavia, a differenza del legato, è subordinato all’accettazione dell’incarico da parte dell’esecutore.
Il nostro ordinamento possiede diverse opzioni che possano aderire alle esigenze attuali, eppure nella prassi l’utente medio se ne disinteressa nulla disponendo in merito ai propri contenuti online.
Successio ab intestato
In assenza di disposizioni espresse del defunto la tutela del suo patrimonio digitale non è sempre garantita. L’acquisizione dei suoi dati digitali potrà rivelarsi un’operazione molto complessa, atteso l’elevatissimo numero di dati che un utente possiede e posto che di molti di essi non se ne ha conoscenza, o perlomeno non ne hanno conoscenza i terzi.
Quando un utente è colto da morte improvvisa, i suoi familiari incontrano serie difficoltà nel recuperare il suo patrimonio in rete. Di regola, per la necessità di accedere ad un account si ricorre a numerosi tentativi (spesso infiniti e spesso senza successo) con l’auspicio di indovinare le credenziali.
Al fine di ovviare a questa problematica, il D.Lgs 81/2018 ha introdotto una novità riguardo ai diritti delle persone decedute e dei loro cari.
L’art. 2-terdecies prevede infatti che i diritti ex artt. 15 – 22 GDPR possano essere esercitati da chi ha un interesse proprio, o agisce a tutela dell’interessato, in qualità di suo mandatario, o per ragioni familiari meritevoli di protezione.
Precisando inoltre che l’interessato può preventivamente disporre, con una dichiarazione scritta, espressa ed inequivocabile, e limitatamente all’offerta diretta di servizi della società dell’informazione, quali fra il diritto di accesso, rettifica, cancellazione, limitazione e portabilità non potrà essere esercitato da parte di terzi, una volta deceduto.
A ben vedere, negli ultimi anni le grandi piattaforme online si sono sensibilizzate alla questione dell’eredità digitale, prevedendo delle condizioni ad essa dedicate.
Il ruolo dei Provider
Tra i milioni di utenti che popolano la rete, molti di essi sono passati a miglior vita eppure sono ancora lì come se il tempo non fosse mai trascorso. Proprio per questo molti gestori di servizi online hanno ritenuto fosse il caso di intervenire adottando ciascuno una propria politica.
Google, ad esempio, offre la funzione di “Gestione di Account inattivo”, mediante la quale l’utente può preventivamente indicare una (o più) persona di fiducia da contattare qualora il profilo non venga utilizzato per un periodo di tempo predeterminato, o individuare quali contenuti condividere e con chi, oppure per quanto tempo e se tenere in vita l’account dopo un periodo di inattività.
Questa gestione del patrimonio digitale si avvicina molto ad un modello di testamento digitale con una scelta consapevole da parte dell’utente.
Facebook adotta una policy differente, offre l’impostazione del “Contatto erede”. In pratica il profilo personale di una persona deceduta, una volta appresa la notizia del decesso, viene convertito in pagina commemorativa, perciò se l’utente, che è venuto a mancare, avrà preventivamente indicato un nominativo di un “erede” questi potrà gestire tale pagina.
Questa ipotesi però non prevede che l’erede possa accedere al profilo, leggere i messaggi, rimuovere amici o inviare nuove richieste di amicizia.
In alternativa, l’utente potrà scegliere la rimozione definitiva del suo account a seguito del suo decesso.
Per quanto riguarda, invece, Twitter e Linkedin non è possibile lasciare le proprie volontà. Ai familiari stretti e verificati (od a persone espressamente autorizzate) sarà permesso di richiedere la disattivazione dell’account del defunto presentando, attraverso un’apposita procedura, il certificato di morte e la documentazione necessaria.

Conclusione
L’epoca odierna porta con sè la necessità di una continua ed esasperata rivisitazione degli istituti classici nonché della creazione di nuovi aderenti alle nuove fattispecie che il progresso tecnologico ha fatto sorgere.
La realtà che va a sovrapporsi al virtuale ed il mancato ancoraggio nella legge per alcuni settori è foriero di drammatiche conseguenze.
Per tale ragione, allo stato attuale delle cose, rimane solo da porre maggior cura nel proprio patrimonio digitale affinché le nostre volontà siano rispettate.
VP