Family tracking Apps: quando il parental control viola la privacy del minore?

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Si sa i figli so’ piezz ‘e cor…ma un genitore può controllare il proprio pargolo quando non è sotto il proprio raggio d’azione avvalendosi della tecnologia? E l’adolescente può ribellarsi a questa intrusione?
Ma soprattutto quando il dovere di vigilanza genitoriale si scontra con il diritto alla privacy del minore?

L’esigenza tipicamente animale di badare alla prole trova negli esseri umani la sua manifestazione più eclatante, tanto da sfociare in una necessità/desiderio di controllo, il più delle volte maniacale ed ingiustificato.

La tecnologia moderna offre una serie di strumenti infallibili a tal fine che consentono ad un adulto di conoscere e limitare le attività del proprio figlio e persino tracciare gli spostamenti che compie.

Da un utile “parental control” sui contenuti digitali fruibili dal minore ad un controllo smodato che si estende persino alla sua geolocalizzazione. Questo è ciò che la rete mette a disposizione dei genitori più apprensivi.

Una serie di app di family tracking che svolgono la funzione di “braccialetto elettronico virtuale”.

Family Tracking Apps

Queste applicazioni sono reperibili nei comuni store di tutti i dispositivi presenti sul mercato e vengono utilizzate dai genitori per controllare, in ogni momento, i telefoni dei propri discendenti, dai contenuti (foto, video, audio, chat) alla posizione.

La possibilità di monitorare in tempo reale la collocazione nel mondo di un membro della famiglia, saperlo in un posto “sicuro” che sia casa, scuola o altro luogo abitualmente frequentato, rende queste app molto appetibili in un mondo sempre più violento e spietato.

Tra le più note, che peraltro stanno riscuotendo un successo mostruoso, ci sono Life360, Find my Friends, Family Locator, Glympse, etc. e tutte mirano allo stesso obiettivo: contenere l’ansia di adulti perennemente preoccupati del benessere del proprio ragazzo.

Tutto sommato per alcuni (soprattutto le figure genitoriali) l’impiego di queste app agevolerebbe l’operato non sempre facile di madre e padre per una gestione più sicura e più serena – anche a distanza – dei pargoli.

Di contro la questione fa sorgere qualche problema in punto alla legittimità del ricorso a tali strumenti, principalmente quando il loro utilizzo diventa un abuso, una vera e propria intrusione nella “sfera privata” del minore.

Dovere di vigilanza vs Diritto alla Privacy

Che i ragazzi, sebbene minorenni, non gradiscano questa invadenza non è poi così strano. Ne va della loro indipendenza, della loro libertà di espressione, della loro curiosità di scoprire il mondo, della loro capacità di affrontare un ostacolo in prima persona ma soprattutto ne va del loro diritto alla riservatezza.

Tanto che i giovani si ingegnano con le soluzioni più fantasiose per aggirare questo sistema sino a scaricare app preposte a tale scopo, ad esempio quelle che falsano il segnale gps.

Ciononostante in capo ai genitori risiede un obbligo giuridico nei confronti dei figli che trova il suo fondamento in primis nella Costituzione che all’art. 30 stabilisce che: “E` dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori del matrimonio”

Il nostro ordinamento prevede inoltre all’art. 2048 c.c., la responsabilità genitoriale per il danno cagionato dal fatto illecito del figlio minore non emancipato.

Da tale disposizione emergono due tipi di responsabilità: la “culpa in educando” a carico dei genitori che non abbiano impartito al figlio una adeguata educazione così come previsto dall’art. 147 c.c. e la “culpa in vigilando” a carico dei genitori, dei precettori e dei maestri d’arte che sono liberati dalla responsabilità soltanto se provano di non aver potuto impedire il fatto.

Ciò premesso, il quesito che ci si pone è se il diritto alla privacy del figlio rappresenta un limite a tale dovere di sorveglianza.

Una prima doverosa considerazione riguarda il fattore età che potrebbe in qualche modo rappresentare una scriminante per l’analisi della questione. Difatti il potere decisionale e l’esperienza di un bambino di 8 anni non possono certamente essere paragonati a quelli di un ragazzo di 16 anni.

Sebbene entrambi siano dalla legge considerati minorenni ed incapaci di agire ex art. 2 c.c. sino al compimento del 18° anno di età, alcune leggi speciali riconoscono alla fascia 14 -18 una capacità di intendere e volere cd. “attenuata”.

Secondo la sezione penale della Corte di Cassazione, in una sentenza chiave (41192/2014):il diritto alla riservatezza della comunicazione o della conversazione implica la possibilità di escludere altri dalla conoscenza del contenuto della medesima”.

Nel caso di specie infatti l’imputato (un padre) veniva condannato, ai sensi dell’art. 617 c.p. per aver preso cognizione, clandestinamente, di alcune conversazioni del figlio con la madre.

In buona sostanza il papà, in fase di separazione dalla moglie per vendicarsi della stessa, aveva registrato il contenuto di alcune telefonate con il figlio senza aver avuto il consenso dai soggetti coinvolti.

Il padre invocava l’esimente ex art. 51 c.p. dell’esercizio dei diritti e dei doveri connessi alla responsabilità genitoriale e in particolare all’obbligo del genitore di vigilare sulle comunicazioni effettuate o ricevute dai figli minori, ritenendo la necessità di adempimento di tale obbligo prevalente sul diritto alla riservatezza di questi ultimi.       

La Suprema Corte, nel proprio percorso argomentativo, precisava che i figli sono “soggetti autonomi” in grado di opporre una propria sfera di riservatezza al padre esercente la responsabilità genitoriale e i doveri di controllo sul loro operato che da questa discendono.

Infine osservava come ” il diritto/dovere di vigilare sulle comunicazioni del minore da parte del genitore non giustifichi indiscriminatamente qualsiasi altrimenti illecita intrusione nella sfera di riservatezza del primo (espressamente riconosciutagli dall’art. 16 della Convenzione sui diritti del fanciullo approvata a New York il 20 novembre 1989 e ratificata dallo Stato italiano con la L. 27 maggio 1991, n. 176), ma solo quelle interferenze che siano determinate da una effettiva necessità, da valutare secondo le concrete circostanze del caso e comunque nell’ottica della tutela dell’interesse preminente del minore e non già di quello del genitore.”

Pertanto, alla luce di questa importantissima pronuncia, ne discende che l’installazione di una app di family tracking può essere lecita solo quando il figlio acconsenta al suo utilizzo ed in ogni caso il controllo può eseguirsi al solo fine di soddisfare una necessità evidente di tutela del minore.

A nulla rileva l’appartenenza familiare e quindi il rapporto tra chi controlla e chi viene controllato né rileva la minore età di quest’ultimo, che andrà comunque valutata caso per caso in relazione anche al contesto.

Ciò che domina è la tutela della dignità della persona che si realizza anche attraverso la protezione del diritto alla sua privacy (inclusa la segretezza della corrispondenza, in ogni sua forma)

Privacy e consenso

In questa sede risulta utile soffermarsi brevemente sul consenso al trattamento dei dati da parte del minore che può servire da faro per il fattore età nella materia trattata.

La normativa europea in materia di privacy (GDPR) ha introdotto all’art. 8 le Condizioni applicabili al consenso dei minori in relazione ai servizi della società dell’informazione.

Tale previsione normativa prevede che il consenso (richiesto ad es. per l’iscrizione ai social) si ritiene validamente prestato dal minore che abbia compiuto almeno 16 anni. Diversamente lo stesso consenso dovrà essere rilasciato dal titolare della responsabilità genitoriale.

Tuttavia resta ferma la possibilità degli Stati membri di stabilire con legge nazionale un’età inferiore a tali fini purché non inferiore ai 13 anni.

L’Italia con il D.lgs n. 101/2018 ha fissato per il consenso digitale il limite di età a 14 anni.

Conclusione

Il diritto alla privacy permane anche all’interno di un nucleo familiare. La famiglia è un centro di valori, affetti e protezione ma anche di regole e principi, all’interno del quale il figlio deve avere la possibilità di costruire la propria identità.

Ne consegue che la violazione della riservatezza di un figlio dei figli potrebbe ledere la sua dignità ed incrinare il rapporto di fiducia e dialogo che dovrebbero sussistere col genitore.

E’ giusto che un adolescente faccia le proprie esperienze (chiaramente in linea con la propria età) e che il genitore lo accompagni, evitando interferenze eccessive,  nel proprio processo di crescita, senza comprometterne l’autonomia e l’affermazione della sua persona.

Ricordate infine che quando una violazione diventa intollerabile vostro figlio potrà anche querelarvi!

VP

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