Una volta registrato un marchio, il titolare potrà disporne liberamente.
Con il contratto di licenza di marchio il proprietario cede a terzi il diritto di utilizzare il proprio marchio, in genere per un determinato periodo di tempo.

Mentre con la cessione il cedente, titolare del marchio, rinuncia definitivamente al proprio marchio trasferendolo (totalmente o parzialmente) al cessionario, nella licenza il proprietario ne conserva la titolarità.
In concreto, l’accordo di licenza consente al licenziatario, una persona diversa dal proprietario, di utilizzare il marchio in relazione a prodotti e/o servizi specifici.
In particolare, l’art. 23 del Codice di Proprietà Industriale al 2° comma stabilisce che: “Il marchio può essere oggetto di licenza anche non esclusiva per la totalità o per parte dei prodotti o dei servizi per i quali è stato registrato e per la totalità o per parte del territorio dello Stato, a condizione che, in caso di licenza non esclusiva, il licenziatario si obblighi espressamente ad usare il marchio per contraddistinguere prodotti o servizi eguali a quelli corrispondenti messi in commercio o prestati nel territorio dello Stato con lo stesso marchio dal titolare o da altri licenziatari.”
Dalla lettura della norma emerge la sussistenza di diverse tipologie di licenza.
La licenza può infatti essere esclusiva quando viene concessa ad un unico licenziatario, o non esclusiva quando i licenziatari sono più di uno (ed in tal caso gli accordi di licenza saranno molteplici) o quando il licenziante, pur cedendo i diritti ad uno o più soggetti terzi, si riserva la facoltà di continuare ad utilizzare anche egli il proprio marchio.
Nella fattispecie di licenza non esclusiva, tuttavia, il legislatore pone una condizione a tutela del pubblico (consumatore). Difatti, quando due o più imprenditori impiegano lo stesso marchio, il prodotto o il servizio dovrà essere uguale a quelli corrispondenti messi in commercio dagli altri (titolare e/o licenziatari).
In ogni caso, in entrambe le tipologie individuate la licenza potrà essere, a seconda degli accordi tra le parti, totale o parziale, qualora investa tutti i prodotti e/o servizi contraddistinti dal marchio oggetto del contratto o solo una parte di essi.
Infine la licenza potrà essere territoriale circoscrivendo l’utilizzo del marchio a determinate aree geografiche (es. regione, provincia, etc.).
In punto al corrispettivo per la concessione della licenza, nella prassi il licenziatario paga al licenziante una quota iniziale (cd. fee) all’atto di sottoscrizione del contratto, calcolata per ciascun anno di vigenza del contratto.
Tuttavia le parti potranno convenire modalità di pagamento del corrispettivo differenti, mediante un’unica soluzione o a rate, oppure potranno pattuire un valore percentuale calcolato sul prezzo di ogni prodotto o servizio venduto identificato dal marchio, ma anche una modalità ibrida che combini quelle appena citate.
Quanto agli obblighi per il licenziatario, il contratto dovrà altresì individuare gli standard di qualità a cui questi dovrà attenersi, pena la risoluzione del contratto, senza pregiudizio per il diritto al risarcimento degli eventuali danni e ogni altro diritto spettante al licenziante.
Al fine di salvaguardare il valore generale del marchio il contratto può anche prevedere che il materiale pubblicitario eventualmente diffuso dal licenziatario sia preliminarmente approvato dal licenziante.
Segnatamente, ai sensi del 3° comma del già menzionato art. 23 CPI, ” il titolare del marchio d’impresa può far valere il diritto all’uso esclusivo del marchio stesso contro il licenziatario che violi le disposizioni del contratto di licenza relativamente alla durata; al modo di utilizzazione del marchio, alla natura dei prodotti o servizi per i quali la licenza è concessa, al territorio in cui il marchio può essere usato o alla qualità dei prodotti fabbricati e dei servizi prestati dal licenziatario.“

Tutto ciò premesso, in via generale e fatta salva l’autonomia negoziale dei contraenti, il contratto di licenza del marchio, una volta individuate le generalità delle parti e svolte le necessarie premesse, dovrà delineare l’oggetto del contratto, indicando i dati del marchio (numero, registrazione e classe merceologica) nonché tutti i prodotti e/o servizi che saranno coperti da licenza.
Dovrà indicare dettagliatamente i diritti e gli obblighi del licenziatario, compresi la tipologia di licenza (esclusiva o non), le condizioni di concessione, le modalità di utilizzo del marchio ed i limiti geografici entro i quali la licenza produrrà effetti .
Dovrà necessariamente individuare le ipotesi di risoluzione contrattuale e/o eventuali limitazioni di responsabilità.
Dovrà infine definire il corrispettivo (e le modalità di corresponsione), la durata della licenza, la legge applicabile, il foro competente e non potrà mancare la clausola sul trattamento dei dati personali.
Naturalmente quelle individuate sono le clausole tipiche che vengono impiegate in questo tipo di accordo (e non solo), ma si ribadisce che le parti possono integrarle, con quanto più confacente con le loro esigenze, anche avvalendosi di allegati.
A titolo esemplificativo, potranno stabilire un divieto in capo al licenziatario di sub-licenza o di cessione della licenza; potranno prevedere un diritto di prelazione per il licenziatario in caso di cessione del contratto; individuare un arbitro per la risoluzione di potenziali controversie. Come noto, la creatività contrattuale incontra il suo unico limite nella legge.
In ogni caso,alla sottoscrizione della licenza del marchio, dovrà poi seguire la registrazione e la trascrizione presso la Camera di Commercio o presso l’Ufficio Italiano Brevetti e Marchi (UIBM).
In definitiva, il contratto dovrà essere redatto in maniera efficace e puntuale, considerando tutte le ipotesi potenzialmente configurabili e soddisfacendo le necessità/aspettative di tutti i soggetti coinvolti. Come di consueto, si caldeggia il ricorso ad un professionista che è e rimane sempre la soluzione più affidabile.
VP