Il fenomeno dello Shitstorm: di cosa si tratta e come contenerlo

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Sono solo ricordi quando per lamentarti di un’azienda ti sfogavi col vicino di casa, o, nella peggiore delle ipotesi, ti infuriavi con l’operatore telefonico del numero verde predisposto per i reclami. A quei tempi regnava il passaparola e per boicottare un brand era necessario rivolgersi ad una azienda concorrente, sperando che un numero abbastanza cospicuo di consumatori facesse altrettanto.
Oggi le notizie corrono in fretta; i social, si sa, hanno rivoluzionato il mondo della comunicazione, ormai senza filtri.
Mettersi al riparo dai giudizi negativi non è facile, soprattutto quando questi si moltiplicano in poche ore. Questa ondata di critiche è meglio conosciuta come shitstorm. Ma di cosa si tratta e come contenerla prima di esserne sopraffatti.

Cos’è una shitstorm e come si realizza

Con l’espressione shit storm (letteralmente “tempesta di cacca”) si intende quel fenomeno con il quale un numero piuttosto consistente di persone manifesta il proprio dissenso nei confronti di un’altra persona (o di un gruppo), o di una organizzazione o di una azienda.

Questa tempesta di insulti e/o commenti denigratori si realizza in rete, generalmente sui social media, sui blog o su altre piattaforme che consentono l’interazione.

La particolarità di questa pratica risiede nella ferocità con cui vengono espresse le critiche e la volgarità dei commenti degli utenti.

L’odio genera odio e viene alimentato dall’istantaneità della comunicazione in rete sino ad assumere una portata ingovernabile. L’immediatezza agevola la viralità, cosicchè da un commento negativo viene sollevato un polverone che acceca anche il minimo buon senso.

Come noto, la comunicazione virtuale è spesso scevra di filtri accompagnata dalla visione distorta che in rete tutto sia concesso, in un contesto totalmente deregolamentato.

La disinibizione dinanzi ad una tastiera e il presunto anonimato di cui gode internet generano una pioggia di parole cariche di aggressività e avversione fuori controllo.

Ciò che caratterizza lo shitstorming è la reazione a catena. La modalità con cui si manifesta è graduale: c’è sempre un fattore scatenante che sfocia nel primo giudizio negativo.

In quest’ottica, è possibile individuare quindi una prima fase in cui lo shit storming si manifesta, nella quale tutto sommato i commenti negativi sono ancora contenibili, seguita poi da una seconda fase in cui i contributi infamanti prendono il sopravvento e la tempesta raggiunge il suo apice in termini di intensità e diffusione. Questa fase è molto critica perché sfugge al controllo del soggetto investito.

Il fenomeno si concluderà con un’ultima fase in cui la situazione rientra a poco a poco nella sua normalità, pur portando con sé, inevitabilmente, gli strascichi di quanto accaduto.

Se si tratta di un’azienda può infatti capitare che un cliente manifesti la propria insoddisfazione verso un determinato servizio o prodotto. In tal caso potrebbe presentarsi un episodio isolato in cui un unico consumatore esprime la propria delusione, di contro quando un commento negativo trova la condivisione di altri utenti altrettanto scontenti potrebbe originarsi una autentica tempesta di “shit”.

La ciliegina sulla torta è quando l’attenzione sui giudizi dispregiativi trova eco nei media ed in questa ipotesi l’azienda deve intervenire tempestivamente per contenere il fenomeno.

Come tutte le tempeste, anche quella virtuale crea distruzione. La gogna mediatica compiuta da un numero indefinito di persone può devastare il soggetto colpito, soprattutto in quanto sovente le critiche sforano il tema originario oggetto dello storming con un conseguente ed importante danno di immagine e di reputazione.

Tuttavia quando lo shitstorm colpisce un singolo (personaggio famoso ma anche un privato cittadino) le conseguenze possono essere disastrose, anche sul piano psicologico. La violenza verbale in rete infatti può generare gravi atti di bullismo. I cyberbulli, specialmente se sostenuti dal branco, possono portare la vittima a sentirsi senza via d’uscita, la braccano “virtualmente” umiliandola e mortificandola.  

Come contenere la tempesta di “critiche”

Un ruolo fondamentale lo riveste il social media manager che deve essere in grado di intuire e prevedere quando certe critiche o proteste possano tramutarsi in vere e proprie ondate di escrementi.

Il modo migliore per bloccare sul nascere di tale fenomeno è cogliere i segnali prima della catastrofe, monitorando con attenzione e costanza ciò che accade sui social media o nelle piattaforme dedicate.

Non dimentichiamoci che se un’azienda subisce un evento di tale portata potrà rivelarsi una tragedia per le sue pubbliche relazioni in rete e potrà anche impiegarci anni per risollevarsi.

In via generale per individuare l’offensività della tempesta in arrivo occorre svolgere delle valutazioni al fine di determinare quali misure concretamente adottare.

Un parere singolo sfavorevole non potrà certo infangare la reputazione di un brand, tanti pareri sì. Una delle prime valutazioni da farsi concerne la quantità dei giudizi negativi: le critiche sporadiche vengono preventivamente messe in conto da una azienda e non destano certamente preoccupazione, anche perché il più delle volte provengono da haters, in genere competitors, che hanno tutto l’interesse di mettere in cattiva luce il proprio concorrente.

Ciò che rende allarmante un numero considerevole di critiche riguarda inoltre la loro persistenza e la loro rilevanza. Una serie di polemiche che permangono in rete il tempo sufficiente per ottenere una certa visibilità, per essere ritenute attendibili dalla maggior parte degli utenti e per essere da questi condivise, può suscitare una potente risonanza mediatica e danneggiare seriamente l’azienda.

Come affrontare il fenomeno

Un fenomeno del genere può essere mosso da numerose ragioni ed essere compiuto nei confronti di chiunque.

Manifestare il proprio dissenso avvalendosi dei social media non è una pratica così eccezionale. Come non è eccezionale che spesso vengano contestate frasi infelici pronunciate da un politico (o  dal suo partito), pubblicità discutibili realizzate da alcuni brand, qualità decantate di un prodotto poi rivelatesi menzognere, comportamenti indecenti o dichiarazioni contraddittorie rilasciate da un personaggio celebre (ma anche da un comune cittadino), finalità immorali perseguite da una organizzazione,  etc.

Sebbene possa essere destinato a soggetti diverse, le modalità del suo sviluppo sono le medesime.

Le reazioni saranno certamente differenti a seconda del soggetto colpito, tuttavia in ogni caso occorrerà comprendere come gestire la crisi per contrastare l’escalation ma soprattutto limitarne i danni.

Innanzitutto, non farsi prendere dal panico o dall’impeto. Una reazione di pancia è sempre sconsigliata principalmente perché potrebbe infiammare gli animi e alimentare la polemica. Allo stesso tempo il tempo non deve passare inesorabile, la tempesta deve essere arrestata sul nascere.

Analizzare la situazione con obiettività prima di prendere una posizione, sviluppare una strategia difensiva o perlomeno un piano di azione per calmare le acque.

La risposta all’ondata di critiche spesso rischia di essere esagerata e sproporzionata, pertanto si sconsiglia vivamente di chiudere il proprio canale social ma anche di rimuovere o censurare i post non graditi. E’ comprensibile il desiderio di sparire ed insabbiare i post indesiderati ma questi rimedi rischiano di enfatizzare la questione e rafforzano l’indignazione pubblica.

In genere l’onestà paga: ammettere un errore e scusarsi (nel caso ne ricorrano realmente i motivi) può risultare una mossa vincente. Impegnarsi nel migliorare o riconoscere un disguido/disservizio può addirittura capovolgere la situazione a proprio favore ed aumentare la popolarità del proprio brand.

Ad oggi la comunicazione online non può essere trascurata soprattutto in ambito aziendale, creare un rapporto diretto e di fiducia con la propria community o target di riferimento fondato sulla verità è la chiave del successo.

Occorre quindi imparare a replicare in maniera professionale alle accuse pubbliche ed adottare delle soluzioni concrete interfacciandosi direttamente con il consumatore risentito.

Un fenomeno di questa portata, in particolare quando è diretto a colpire una singola persona, può sfociare in cyberbullismo, in cyberstalking, in cybermobbing

Forme diverse di molestie, minacce, coercizione, diffamazione che possono identificare questa pratica hanno un comune denominatore: la violenza attraverso la rete.

Tutte queste condotte possono assumere rilevanza penale. Il dono della invisibilità non esiste neppure in internet. Manifestare il proprio dissenso prevede, sempre e comunque, una comunicazione educata e rispettosa, possibilmente in un’ottica di confronto.

L’hate speech online ha delle conseguenze poiché può agevolmente sfociare in diffamazione, calunnia, stalking, discriminazione raziale, etnica e/o religiosa, istigazione a delinquere, etc. Le fattispecie previste ad oggi sono diverse e la normativa italiana, fortunatamente, si sta sensibilizzando alla problematica predisponendo tutele mirate per le vittime dei cd. computer crimes.

Ciò che avviene in rete non è disgiunto dalla realtà né è esente da responsabilità. Le regole della comunicazione e della buona educazione valgono anche sui social media, a tal fine le piattaforme consentono di segnalare espressioni indecorose e offrono la possibilità anche di rimuoverle.

VP

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