Non sussiste il diritto al risarcimento del danno laddove non venga dimostrata la gravità delle conseguenze patite dalla illegittima diffusione dei propri dati personali. Ciò in ossequio al dovere di solidarietà derivante dall’art. 2 della Costituzione.
Questo quanto deciso dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 29982/2020.

Sommario
La vicenda
Il direttore amministrativo di una scuola rivelava alla polizia giudiziaria notizie in merito a contestazioni disciplinari a carico di un collaboratore scolastico nello svolgimento della prestazione lavorativa presso l’istituto che dirigeva.
Tale notizia si era diffusa nell’ambito dell’istituto scolastico, pertanto il collaboratore ricorreva in giudizio nei confronti del MIUR e dello stesso direttore lamentando che la circolazione delle informazioni sul suo conto – peraltro riguardanti inadempimenti pregressi e non attuali connessi ad un procedimento penale per diffamazione nei confronti di una ex collega – gli avesse procurato umiliazione, disagio ed imbarazzo.
Per tali ragioni si rivolgeva al giudice per ottenere il risarcimento del danno patito a causa della condotta tenuta dal direttore.
Il Tribunale di Torino respingeva il ricorso ritenendo infondata la domanda formulata dal ricorrente per le seguenti quattro ragioni concorrenti e tutte autonomamente autosufficienti:
- la necessità della comunicazione dei dati personali a fini istituzionali;
- L’estraneità della condotta del dirigente alla circolazione delle notizia nel personale dell’istituto scolastico;
- La mancata prova dei danni-conseguenza patiti;
- Il difetto di un coefficiente minimo di gravità e serietà per dar luogo a un pregiudizio non patrimoniale risarcibile.
Avverso la suddetta sentenza il collaboratore scolastico proponeva ricorso in Cassazione, omettendo tuttavia di censurare il predetto punto b).
La decisione della Corte di Cassazione
La Corte di Cassazione con la sentenza n. 29982/2020 respinge la richiesta di ristoro avanzata dal ricorrente.
Preliminarmente la Corte precisa che l’omessa impugnazione di una delle autonome ragioni a fondamento della decisione di merito
rende inammissibili, per sopravvenuto difetto di interesse, le censure relative alle altre ragioni esplicitamente fatte oggetto di doglianza, in quanto queste ultime non potrebbero comunque condurre, stante l’intervenuta definitività delle altre, la cassazione della decisione stessa.
Ciò detto, la Corte è tenuta a circoscrivere il pregiudizio patito dal ricorrente unicamente dalla comunicazione dei suoi dati personali alla polizia giudiziaria e non anche dalla sua diffusione tra il personale dell’istituto scolastico.
Sul punto il ricorrente, invocando l’art. 19 D.Lgs 196/2003, lamentava che la comunicazione dei dati personali effettuata dal direttore fosse estranea all’esercizio delle funzioni proprie da dirigente e oltre ai limiti di pertinenza, proporzionalità e coerenza con gli scopi istituzionali.
Sulla questione la Cassazione accoglie in parte le censure del ricorrente poiché il tribunale aveva omesso di accertare se la comunicazione alla polizia fosse avvenuta per iniziativa del direttore o su richiesta dell’ispettore della polizia giudiziaria.
Inoltre i fatti comunicati alla polizia giudiziaria erano assolutamente slegati dal processo penale per diffamazione in cui venivano inseriti, poiché di molto successivi all’evento oggetto dello stesso procedimento e non erano necessarie né opportune per la corretta valutazione dei fatti.
Pertanto non rientravano nell’ambito del dovere di leale collaborazione fra diverse amministrazioni e buon andamento dell’attività amministrativa.
Tuttavia, come già sottolineato, tali censure non potevano condurre alla cassazione della sentenza impugnata, ma alla sola correzione delle motivazioni della stessa.
Quante alle prove prodotte dal ricorrente dei danni dallo stesso patiti, secondo la Suprema Corte dalla lesione del diritto alla privacy scaturisce il diritto al risarcimento dei danni non patrimoniali solo se si dimostra la gravità e la serietà delle conseguenze patite dall’illegittima circolazione dei propri dati personali.
Sul danno non patrimoniale patito dal collaboratore scolastico legato alla circolazione dei suoi dati personali, la Cassazione rileva che le informazioni circolate attenevano a semplici contestazioni mosse al ricorrente (e non a veri provvedimenti disciplinari), peraltro prive di riferimenti specifici.
In ogni caso, avendo il ricorrente omesso di contestare l’estraneità della condotta del dirigente alla circolazione dei suoi dati, la prova del danno cagionato doveva necessariamente ed esclusivamente essere connessa a tale evento.
Conclusione
Alla luce di quanto detto, l’illecita diffusione di informazioni personali altrui non determina in automatico il diritto al risarcimento.
Sul punto gli ermellini, invocano la giurisprudenza di legittimità, anche recentissima, secondo la quale:
“Il danno non patrimoniale risarcibile ai sensi dell’art. 15 del D. Lgs n. 196 del 2003, pur determinato da una lesione del diritto fondamentale alla protezione dei dati personali tutelato dagli art. 2 e 21 Cost. e dall’art. 8 della CEDU, non si sottrae alla verifica della gravità della lesione e della serietà del danno, secondo i principi scanditi dalle sentenze delle Sezioni Unite n. 26972 e 26975 del 2008, in quanto per tale diritto opera il bilanciamento con il principio di solidarietà ex art. 2 Cost., di cui quello di tolleranza della lesione minima é intrinseco precipitato, sicché determina una lesione ingiustificabile del diritto non la mera violazione delle prescrizioni poste dall’art. 11 del Codice privacy, ma solo quella che ne offenda in modo sensibile la sua portata effettiva, restando comunque il relativo accertamento di fatto rimesso al giudice di merito.”
Per doverosa completezza si precisa che a seguito dell’abrogazione espressa dell’art. 15 (“danni cagionati per effetto del trattamento”) del Codice Privacy da parte del D.Lgs. 101/2018 (la norma italiana di raccordo con il GDPR), l’art. 82 del GDPR è ora la norma cardine sulla responsabilità civile nel trattamento dei dati personali ed al primo comma stabilisce che:
Chiunque subisca un danno materiale o immateriale causato da una violazione del presente regolamento ha il diritto di ottenere il risarcimento del danno dal titolare del trattamento o dal responsabile del trattamento.
VP