Il fenomeno del Cyberbullismo si sta diffondendo a macchia d’olio nei social network e ad essere coinvolti, il più volte delle volte, sono minorenni.
Per cyberbullismo – termine coniato nel 2002 dall’insegnante canadese Bill Belsey – si intende ogni fattispecie di violenza continua e ripetuta realizzata in molteplici forme come angherie, vessazioni, soprusi, utilizzando strumenti elettronici. Si tratta quindi di una prevaricazione del “bullo” nei confronti della vittima attuata principalmente attraverso Facebook, Instagram, WhatsApp, Skype, Youtube, Twitter, etc.
Le motivazioni che spingono un soggetto ad indossare le vesti del “cyberbullo” possono essere le più disparate, quelle più gettonate riguardano la noia e il desiderio di essere popolari.
L’aspetto più sconcertante è che spesso questi comportamenti vengono messi in atto da più soggetti, dal “branco”, con lo scopo di umiliare la vittima, un soggetto emotivamente debole che molto frequentemente non denuncia nemmeno per timore di ulteriori ritorsioni o derisioni.
In Italia il bullismo in rete ha avuto un primo riconoscimento giuridico con la Legge n. 71 del 29 maggio 2017 in materia di “Disposizioni a tutela dei minori per la prevenzione ed il contrasto del fenomeno del cyberbullismo” secondo la quale “… per «cyberbullismo» si intende qualunque forma di pressione, aggressione, molestia, ricatto, ingiuria, denigrazione, diffamazione, furto d’identità, alterazione, acquisizione illecita, manipolazione, trattamento illecito di dati personali in danno di minorenni, realizzata per via telematica, nonchè la diffusione di contenuti on line aventi ad oggetto anche uno o più componenti della famiglia del minore il cui scopo intenzionale e predominante sia quello di isolare un minore o un gruppo di minori ponendo in atto un serio abuso, un attacco dannoso, o la loro messa in ridicolo.”
L’intervento degli adulti (genitori, insegnanti, tutori) per combattere un fenomeno così preoccupante svolge un ruolo chiave al fine di contrastarne la diffusione. E’ sempre più necessaria una educazione all’uso sano delle nuove tecnologie ed una corretta informazione sulle conseguenze che determinate azioni comportano.
Il bullismo online può integrare diverse violazioni sia di carattere civile che di carattere penale.
Cyberbullismo e responsabilità civile
La prepotenza del bullo ha inevitabilmente delle ripercussioni sulla vittima. La violenza subita fa sorgere in capo a quest’ultima un diritto al risarcimento per il danno ingiustamente patito. In tali ipotesi si configura infatti un illecito extracontrattuale, ai sensi dell’art. 2043 c.c.
Nel caso di specie il danno prodotto determina la lesione di interessi attinenti la sfera della persona. Spetterà al Giudice la valutazione della fattispecie concreta ai fini del riconoscimento del danno, della quantificazione in via equitativa e della responsabilità.
Per ravvisare una responsabilità civile in capo al cyberbullo sarà indispensabile prendere in considerazione diversi fattori.
In primis rileva l’età del bullo. Dalla lettura dell’art. 2046 c.c. si evince che non può rispondere di un fatto dannoso un soggetto incapace di intendere e di volere. Tale requisito dovrà essere accertato dal Giudice, anche nel caso di minorenni. Pertanto vi sarà una responsabilità solidale del minore e dei genitori che ne risponderanno da un punto di vista patrimoniale.
I genitori risponderanno altresì di una responsabilità personale ed oggettiva per atti illeciti posti in essere dal figlio minorenne capace di intendere e di volere ogni volta che non eserciteranno la vigilanza in modo consono all’età del minore volta a prevenire o impedire comportamenti sbagliati.
Secondo l’art. 2048 c.c. il mancato assolvimento degli obblighi educativi e di controllo sui figli concretizza la “culpa in vigilando” in capo al genitore.
La culpa in vigilando sussiste anche per la violazione dei doveri relativi all’esercizio della responsabilità genitoriale ex art. 147 c.c. con la conseguenza relativa all’onere probatorio in capo al genitore, il quale deve dimostrare di aver fornito una buona educazione in conformità alle condizioni sociali, familiari, all’età, al carattere e all’indole del figlio minore, come sostenuto a più riprese dalla giurisprudenza.
La culpa in vigilando ed in educando è ravvisabile anche in capo agli insegnanti ed ai dirigenti scolastici quando l’evento dannoso si verifica in orario e luogo scolastico, la presunzione di colpa si può superare solo con la prova di aver vigilato bene o con la prova del caso fortuito.
Per completezza espositiva si precisa che relativamente alla persona priva della capacità di intendere e volere, risponde dei danni colui che si occupa di sorvegliare l’incapace, salvo che dimostri di non aver potuto impedire il fatto (art. 2047 c.c.).
Infine, per quanto riguarda l’internet provider viene esclusa una responsabilità in capo a quest’ultimo; la giurisprudenza è concorde nel ritenere che tra gli obblighi giuridici previsti in capo al gestore non sussista un dovere di sorveglianza e di controllo dei comportamenti dei propri utenti.
Cyberbullismo e responsabilità penale
Come detto, il fenomeno di cui si tratta si realizza in diverse forme e per tale ragione è riconducibile a svariati reati disciplinati nel Codice penale.
I comportamenti posti in essere dai cyberbulli possono assumere sfumature diverse.
Se il bullo si sostituisce alla reale persona (“impersonation” o “identity theft”) creandosi un profilo su internet con identità fittizia utilizzando informazioni personali, foto e dati di accesso quali password e nome utente relativi all’account di qualcuno, per spedire messaggi o pubblicare contenuti deplorevoli al fine di danneggiare l’immagine e la reputazione della vittima si configura il reato di sostituzione di persona ex art. 494 c.p.
Quando il cyberbullismo si estrinseca in minacce, molestie, violenze e denigrazioni ripetute e minacciose con lo scopo di incutere nella vittima terrore e paura per la propria incolumità fisica si ravvisa il reato di atti persecutori (stalking – art. 612 bis c.p.).
Denigrare, insultare o diffamare qualcuno online con pettegolezzi, menzogne, dicerie e commenti crudeli, offensivi e denigratori nei riguardi delle vittime attraverso e-mail, sms, messaggistica istantanea, per danneggiare gratuitamente e con cattiveria la reputazione della persona o le sue amicizie integra il reato di ingiuria ex art. 594 del c.p.
Il reato di molestia o disturbo alle persone (art. 660 c.p.) si verifica con l’ invio ripetuto di messaggi dal contenuto offensivo mirati a ferire una determinata persona alla quale si può causare un evidente disagio sia emotivo che psichico.
Anche ottenere la fiducia di qualcuno con l’inganno al fine di diffondere, pubblicare e condividere in rete le informazioni private imbarazzanti o le immagini personali, rivelando segreti della persona e, quindi, violando la riservatezza delle confidenze comporta una violazione del codice penale, in particolare delll’art.595 c.p. sul reato di diffamazione.
Le condotte antigiuridiche connesse al cyberbullismo sono molteplici; si potrà realizzare, a titolo esemplificativo e non esaustivo, il reato di percosse (art. 581 c.p.), lesione personale (art. 582 del c.p.), violenza privata (art. 610 c.p.), minaccia (art. 612 c.p.), estorsione (art. 629 c.p.), danneggiamento alle cose (art. 635 c.p.), etc.
Per attivare i rimedi previsti dalla Legge penale è sufficiente sporgere denuncia ad un organo di polizia o all’autorità giudiziaria. Per alcune fattispecie la denuncia deve essere corredata dalla richiesta di procedere penalmente nei confronti dell’autore del reato (querela).
VP