Gli italiani, si sa, hanno la testa nel “pallone” e perdersi una partita può trasformarsi in un vero dramma. Nella maggior parte dei casi i diritti televisivi sugli incontri calcistici appartengono alle pay tv, che non sono di certo, economicamente, alla portata di tutti.
La grande varietà di contenuti (eventi sportivi, cinema, serie tv) offerta dalle televisioni a pagamento garantisce più scelta all’utente e non è minimamente paragonabile alle storiche reti televisive, tuttavia gli abbonamenti (anche i pacchetti più basic) hanno un costo mensile piuttosto caro.
Per aggirare questo oneroso ostacolo, negli ultimi anni si è diffuso il fenomeno delle piattaforme “pirata” che consentono la visione illegale delle emittenti televisive come Sky, Dazn, Netflix, Infinity a prezzi stracciati, mediante il sistema del “pezzotto”.
Ma come funziona questa pratica? Che rischi si corrono?

Il “pezzotto”: cos’è e come funziona
Il pezzotto è il nome volgare di origine partenopea attribuito ad un banale set top box. E’ un piccolo apparecchio domestico che, collegato alla tv, consente agli utenti di sintonizzarsi su canali pirata.
Questo particolare decoder, avvalendosi della tecnologia IPTV (“Internet Protocol Television”), è infatti in grado di decodificare i segnali digitali pirata in arrivo dalla rete internet.
In buona sostanza i canali ed i contenuti dalle emittenti vengono ricevuti da dei centri di ricezione dotati di decoder acquistati legalmente, ovvero ognuno di essi con un regolare abbonamento.
Ogni decoder è sintonizzato su un unico canale ma il segnale video, anziché essere indirizzato direttamente a una TV viene trasmesso ad un circuito che lo ricodifica in tempo reale al fine di renderlo idoneo ad essere inviato in streaming attraverso la rete internet.
Il pezzotto consente inoltre di accedere ai contenuti illeciti non solo tramite TV, ma da qualsiasi dispositivo che possieda una connessione internet abbastanza performante.
Funziona quindi come porta di accesso a servizi illegali, e ciò che lo rende così appetibile è che lo si può avere ad un prezzo mensile veramente irrisorio che solitamente si aggira intorno ai 10 euro.
Nella prassi quindi un utente “acquista” il pezzotto al quale potrà accedere mediante dei codici forniti – generalmente con una cadenza mensile – dallo stesso “intermediario” che gli ha procurato l’apparecchio.

Che rischi corre chi usa il pezzotto?
Non è certamente una novità che l’utilizzo delle IPTV per accedere illegalmente ai contenuti a pagamento sia reato.
Forse non tutti sanno però che è perseguibile non solo colui che realizza la diffusione illecita impiegando un IPTV illegale ma anche l’utente finale che fruisce di tale servizio.
La legge sul diritto d’autore all’art. 171 octies punisce infatti “chiunque a fini fraudolenti produce, pone in vendita, importa, promuove, installa, modifica, utilizza per uso pubblico e privato apparati o parti di apparati atti alla decodificazione di trasmissioni audiovisive ad accesso condizionato effettuate via etere, via satellite, via cavo, in forma sia analogica sia digitale“.
Peraltro le sanzioni previste per tali condotte sono tutt’altro che blande. La norma prevede infatti una multa da euro 2.582 ad euro 25.822 nonché l’applicazione della pena della reclusione da 6 mesi a tre anni.
Sebbene spesso l’utente furbetto la passi liscia, stanno aumentando vertiginosamente i casi in cui la Guardia di Finanza ha scovato e denunciato detentori di pezzotto.
Sulla questione qualche anno fa si era pronunciata anche la Corte di Cassazione (sent. n. 46443 del 10 ottobre 2017), confermando la condanna di un soggetto che aveva installato un decoder che gli consentiva di accedere ai canali Sky senza tessera di abbonamento.
In tale decisione la Suprema Corte inquadrava la condotta di decodificazione ad uso privato di programmi televisivi ad accesso condizionato e, dunque, protetto, eludendo le misure tecnologiche destinate ad impedire l’accesso posto in essere da parte dell’emittente, nel novero dell’art. 171-octies, indipendentemente dalle concrete modalità con cui l’elusione venga attuata, evidenziandone la finalità fraudolenta nel mancato pagamento del canone applicato agli utenti per l’accesso ai suddetti programmi.

Il fenomeno dello streaming illegale online ha una portata enorme e difficilmente contenibile. Occorre pertanto trovare una soluzione concreta per arginare questo sistema così sofisticato e collaudato.
Ad oggi sembra che il vento stia cambiando la sua rotta. Le autorità si stanno attivando con tutti gli strumenti in loro possesso per stanare gli abbonati a questo tipo di servizi.
Le organizzazioni criminali che operano in questo settore non sono facilmente individuabili, pertanto colpire l’utente finale, colui che concretamente contribuisce a gonfiare le tasche di questi delinquenti, potrebbe svolgere la funzione di deterrente, per disincentivare altri al ricorso del pezzotto.
VP