Postare su Facebook contenuti irridenti non è stalking (Cass. Pen., sez. V, sent. n. 34512/2020)

Read 3 min
Non risponde del reato di stalking ex art. 612 bis c.p. chi pubblica post su Facebok destinati ad un pubblico indeterminato nonostante il contenuto derisorio.

La vicenda

Nel caso in esame l’imputato minacciava e molestava con messaggi telefonici e tramite social network di contenuto ingiurioso e diffamatorio due coniugi a cui aveva dato in locazione un immobile in nero.

In particolare l’uomo aveva creato un profilo Facebook ad hoc denominato “Inquilino al nero” con la chiara finalità di insultare la coppia, al punto di costringerla ad alterare le proprie abitudini di vita (cambiando numero di telefono e profilo Facebook) e cagionando un grave stato di ansia e paura.

La Corte d’Appello di Milano, riformando la sentenza di primo grado, assolveva l’imputato dal reato di atti persecutori di cui all’art. 612-bis c.p. secondo il quale:

Salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da un anno a sei anni e sei mesi chiunque, con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita

Avverso tale sentenza, ricorreva in Cassazione il Procuratore generale, lamentando che la Corte avesse fornito una lettura alternativa delle emergenze processuali, asserendo che: “il rapporto locatizio, oggetto di controversia civile, minasse l’attendibilità delle parti civili…” mentre tale controversia costitutiva solo lo sfondo delle condotte.

Difatti, l’oggetto del processo era costituito dai messaggi offensivi e minacciosi, reiterati in modo persecutorio tramite sms e post su Facebook, mentre a giudizio della Corte tali messaggi non assumevano rilievo e che la loro lettura dipendeva da una scelta deliberata delle vittime, e non dalla diffusione intrinseca dei contenuti postati sui social network.

La decisione della Suprema Corte

Con la sentenza n. 34512/2020 la quinta sezione penale della Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso ritenendo che il reato di stalking non si configuri con la pubblicazione di post irridenti su una pagina ‘pubblica’ Facebook laddove non siano indicati dei nomi e dei riferimenti individualizzanti.

Secondo la Suprema Corte pubblicare post – seppur dai toni aspri – senza indirizzarli direttamente alle parti civili su una pagina visibile a tutti gli utenti dei social network, la cui lettura era rimessa alla volontà degli stessi, fa venire meno l’invasività inevitabile connessa all’invio di messaggi privati – mediante SMS, WhatsApp, e telefonate – che invece caratterizza gli atti persecutori rilevanti ai sensi dell’art. 612 bis c.p.

Inoltre, secondo gli ermellini, il post rispondeva più ad un intento ironico ed irridente, di per sé lecito, in quanto legittimo esercizio di un diritto di critica, nonostante le modalità pungenti.

In ogni caso, le condotte contestate non erano riconducibili e nessuno degli eventi del reato alternativamente previsti dall’art. 612 bis c.p.

Conclusione

In definitiva, è lecito pubblicare post dal contenuto offensivo su una pagina aperta al pubblico e chi lo fa non commette reato laddove stia esprimendo liberamente una sua opinione, peraltro senza riferimenti espliciti e leggibile da chiunque.

Per la Suprema Corte va quindi affermato il seguente principio di diritto:

In tema di stalking, la pubblicazione di post meramente canzonatori ed irridenti su una pagina Facebook accessibile a chiunque non integra la condotta degli atti persecutori di cui all’art. 612 bis c.p., mancando il requisito della invasività inevitabile connessa all’invio di messaggi privati e, se rientra nei limiti della legittima libertà di manifestazione del pensiero e del diritto di critica, è legittima.

VP

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *