Il ricorso alle telecamere di sorveglianza da parte dei privati è divenuto negli anni sempre più intenso, generalmente come deterrente per scongiurare furti in casa. Tuttavia, spesso tali apparecchi non sono delle vere videocamere o, se lo sono, di fatto non sono attive, pertanto ci si interroga se il loro utilizzo sia consentito o se chi le installa possa essere incorrere in sanzioni.
A ben vedere, l’uso massiccio di dispositivi video influisce sul comportamento dei cittadini. Di fatto, queste tecnologie possono limitare le possibilità di muoversi e di utilizzare servizi in maniera anonima nonché, in linea generale, la possibilità di passare inosservati.
Le conseguenze per la protezione dei dati sono evidenti, ma oltre alle questioni legate alla privacy, sussistono anche i rischi connessi a possibili malfunzionamenti di questi dispositivi e alle distorsioni che possono indurre.
Sommario
Dal punto di vista della privacy
Come noto, in materia di tutela della privacy il tema della videosorveglianza è considerato piuttosto delicato, principalmente a seconda del contesto in cui le telecamere vengono installate.
Si registrano, infatti, diversi interventi sulla materia sia da parte del Garante della Privacy italiano che di quelli europei, sfociati nelle Linee guida 3/2019 sul trattamento dei dati personali attraverso dispositivi video.
Tale provvedimento esclude espressamente che il GDPR e la normativa sul protezione dei dati personali si applichi al trattamento dei dati che non consentono di identificare le persone, direttamente o indirettamente, come nel caso delle riprese ad alta quota (effettuate, ad es., mediante l’uso di droni) nonché alle fotocamere false, vale a dire qualsiasi fotocamera che non funziona come tale e che quindi non elabora alcun dato personale.
Il Garante per la Protezione dei dati personali, da ultimo, ha esteso tale previsione anche alle telecamere spente, tuttavia ha precisato che nel contesto lavorativo trovano comunque applicazione le garanzie previste dall’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori, che si riporta qui di seguito.
[Art. 4 L. 300/1970, “IMPIANTI AUDIOVISIVI”: E’ vietato l’uso di impianti audiovisivi e di altre apparecchiature per finalità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori. Gli impianti e le apparecchiature di controllo che siano richiesti da esigenze organizzative e produttive ovvero dalla sicurezza del lavoro, ma dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori, possono essere installati soltanto previo accordo con le rappresentanze sindacali aziendali, oppure, in mancanza di queste, con la commissione interna. In difetto di accordo, su istanza del datore di lavoro, provvede l’ispettorato del lavoro, dettando, ove occorra, le modalità per l’uso di tali impianti. Per gli impianti e le apparecchiature esistenti, che rispondano alle caratteristiche di cui al secondo comma del presente articolo, in mancanza di accordo con le rappresentanze sindacali aziendali o con la commissione interna, l’ispettorato del lavoro provvede entro un anno dall’entrata in vigore della presente legge, dettando all’occorrenza le prescrizioni per l’adeguamento e le modalità di uso degli impianti suddetti. Contro i provvedimenti dell’ispettorato del lavoro, di cui ai precedenti secondo e terzo comma, il datore di lavoro, le rappresentanze sindacali aziendali o, in mancanza di queste, la commissione interna, oppure i sindacati dei lavoratori di cui al successivo art. 19 possono ricorrere, entro 30 giorni dalla comunicazione del provvedimento, al ministro per il lavoro e la previdenza sociale.]
Sulle apparecchiature di videosorveglianza finte installate da privati, l’Authority si era già espressa nell’ambito del provvedimento del 29 aprile 2004 (documento web 1003484) e, al p.to 2.3 nel trattare il principio di proporzionalità, sottolineava che “Anche l’installazione meramente dimostrativa o artefatta di telecamere non funzionanti o per finzione, anche se non comporta trattamento di dati personali, può determinare forme di condizionamento nei movimenti e nei comportamenti delle persone in luoghi pubblici e privati e pertanto può essere legittimamente oggetto di contestazione.”
Da ciò emerge che sebbene non ne venga espressamente vietato l’utilizzo, nella prassi anche un apparecchio finto o spento (o semplicemente rotto) può integrare dei profili di responsabilità a carico di chi le installa, ciò a seguito di un affidamento incolpevole del soggetto apparentemente ripreso sul fatto che in zona sia presente la videosorveglianza.
In ogni caso, occorre fare delle distinzioni a seconda dell’ambiente in cui il privato adotti tali dispositivi fittizi.
Telecamere finte installate all’interno della proprietà
Accade frequentemente che il soggetto privato decida di installare un apparecchio non funzionante nel proprio contesto abitativo, per fini meramente dissuasivi.
Si pensi al pianerottolo, al parcheggio ad uso esclusivo o al proprio giardino. Ebbene l’esigenza di tutelare la propria sicurezza e dei propri cari nonché la tutela del proprio patrimonio può legittimare l’utilizzo di tali strumenti.
In tale contesto, si tende ad escludere a priori una lesione, anche solo potenziale, della privacy di un terzo, stante l’oggettiva impossibilità di registrazione di tali dispositivi e la natura prettamente privata dei luoghi inquadrati.
Da ciò ne discende – come precisato dal Garante – non essendoci un trattamento dei dati di videosorveglianza ne conseguirà l’inapplicabilità della normativa sulla protezione dei dati personali e tutti gli adempimenti dalla stessa previsti.
Inoltre, si ritiene di poter escludere anche ipotesi di responsabilità in capo a chi installa la videocamera finta, presumendo che i predetti ambienti non siano frequentati da soggetti estranei rispetto al nucleo familiare o amicale.
Videosorveglianza finta in condominio
Se tali dispositivi sono stati installati all’interno di un condominio, si aprono scenari differenti.
In linea generale, per installare un impianto funzionante di videosorveglianza all’interno di edifici abitati devono essere osservate una serie di regole determinate.
Ne abbiamo parlato qui: Videosorveglianza: le regole da osservare per l’installazione delle telecamere
Tuttavia, non di rado capita che non si riesca a raggiungere la maggioranza tra i condomini, necessaria per installare un “vero” apparecchio, o che semplicemente non si vogliano sostenerne i costi, e, per evitare furti o atti illeciti in condominio, si prediliga di ripiegare sull’uso di false telecamere.
Come detto, pur non essendo applicabile, la normativa a tutela della riservatezza del privato, nella realtà un soggetto potrebbe assumere una determinata condotta proprio per la fiducia che ripone in un impianto fittizio che invece ritiene essere vero.
La presenza di una videocamere può incidere sensibilmente sulle abitudini di vita del singolo e può persino compromettere il suo esercizio del diritto di difesa.
Si può legittimamente comprendere, infatti, come la vittima di un reato (si pensi ad una rapina, ad uno stupro, etc.) possa vedersi leso il proprio diritto di poter suffragare il fatto antigiuridico subìto con degli elementi probatori, quali appunto le videoriprese.
E ancora, tale affidamento potrebbe derivare anche dall’affissione di cartelli informativi, in prossimità della videocamera avvalorando che la stessa sia funzionante.
Con riferimento a quest’ultima ipotesi, il falso affidamento sarebbe anche più facilmente dimostrabile proprio perché l’avviso riporta una circostanza mendace.
Pare quindi evidente che il titolare del dispositivo potrà incorrere in una richiesta risarcitoria ex art. 2043 c.c. da parte del soggetto che abbia fatto un affidamento, incolpevole, sul sistema di videosorveglianza “giocattolo”.
Telecamere finte installate dal privato nell’ambito di spazi pubblici
Un discorso differente riguarda invece l’implementazione di una apparecchiatura in grado di riprendere, seppur apparentemente, luogo pubblici.
Ci si interroga quindi se in tale contesto tali dispostivi fittizi possano comunque ingenerare nel cittadino il legittimo affidamento alla tutela della propria persona e del proprio patrimonio, oltre a quello della collettività.
Come sempre sorge la necessità di contemperare gli interessi in gioco e al riguardo occorre richiamare le norme vigenti nel nostro ordinamento non solo in materia civile ma anche in ambito penale.
Ebbene, su quest’ultimo fronte, si registrano orientamenti contrastanti in punto alla configurabilità del reato di “interferenze illecite nella vita privata” di cui all’art. 615 bis c.p.
Dal tenore letterale della norma perché il delitto sia integrato il reo – mediante l’uso di strumenti di ripresa visiva o sonora – deve procurarsi indebitamente delle notizie o delle immagini attinenti alla vita privata della vittima.
Appare quindi controverso come possa applicarsi tale previsione laddove una videocamera non sia in grado di carpire alcun dato.
Ciononostante, parte della dottrina ritiene che il reato in esame sia da considerarsi un reato di pericolo e non di danno, per la capacità “potenzialmente lesiva” insita in un impianto audiovisivo. La questione rimane aperta.
Conclusione
Alla luce delle considerazioni svolte, pare potersi concludere che l’impiego di dispositivi finti di videoregistrazione non sia da considerarsi illecito, e quindi vietato dalla legge, tuttavia potrà, a seconda dei casi, risultare illegittimo.
Ciò chiarito, sebbene non sussista alcuna norma che non consenta il ricorso a tali strumenti, nella realtà gli stessi possono, anche potenzialmente, ledere dei diritti altrui.
In altri termini, non é l’installazione in sé ad essere sanzionata quanto le conseguenze che tale operazione possa comportare.
VP