Con la sentenza n. 29096/2020 la Corte di Cassazione ha statuito che colui che riprende un stupro con più partecipanti risponde del reato di violenza sessuale di gruppo ex art. 609 octies c.p.

Sommario
Il caso
La vicenda riguarda un minorenne siciliano indagato per aver partecipato con altri quattro amici coetanei allo stupro di gruppo di una giovane donna, anch’ella minore d’età.
All’indagato veniva applicata la misura cautelare delle custodia in un penitenziario minorile in relazioni ai reati di sequestro di persona e violenza sessuale di gruppo.
Avverso tale ordinanza, confermata dal Tribunale dei minorenni di Catania nelle vesti di giudice del riesame, la difesa dell’indagato ricorreva in Cassazione.
Con il primo motivo di ricorso deduceva violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, lamentando che i Giudici di merito avessero attribuito valore preponderante alle dichiarazioni rese dai correi, infraquattordicenni, ed alle dichiarazioni delle persone offese, senza raffrontarsi con le censure difensive che attenevano alla ricostruzione alternativa del fatto ed alla valutazione complessiva degli elementi probatori.
In particolare veniva travisato un dato probatorio fondamentale, ovvero la topografia dei luoghi analizzata attraverso Google Maps, che rendeva inverosimile la realizzazione dell’iter criminoso da parte del ricorrente dei reati di sequestro di persona e lesioni aggravate nell’arco temporale individuato dal Tribunale.
Veniva inoltre contestata la credibilità del narrato accusatorio fornito dalla vittima, con specifico riguardo alla circostanza di una videoripresa che sarebbe stata effettuata dal ricorrente durante la violenza sessuale di gruppo, che non aveva trovato conferma né nelle dichiarazioni rese dai correi non imputabili né dagli esiti dei controlli effettuati dalla P.G. sui dispositivi di memorizzazione dei telefoni sequestrati ai quattro minori indagati.
In definitiva, le complessive risultanze istruttorie davano atto di una “presenza inerte” del ricorrente sul luogo della perpetrata violenza sessuale di gruppo, mera presenza che integrava l’ipotesi di una connivenza non punibile.
Con il secondo (ed ultimo) motivo di ricorso deduceva violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla sussistenza delle esigenze cautelari ed alla adeguatezza della misura cautelare applicata.
Il difensore del ricorrente lamentava che il Tribunale avesse compiuto una valutazione deficitaria e sommaria a sostegno dell’esigenza di cautela. In quest’ottica, affinché sussista la concretezza ed attualità del pericolo di recidivanza occorre indagare anche sulla personalità del reo, non essendo sufficiente soffermarsi unicamente sulla gravità del fatto.
La decisione
La suprema Corte, con la sentenza n. 29096/2020, rigetta il ricorso.
- Sui gravi indizi di colpevolezza
In punto alla prima doglianza, in linea con la giurisprudenza maggioritaria, la Corte precisa che per gravi indizi di colpevolezza, ai sensi dell’art. 273 c.p.p. in tema di misure cautelari personali, devono intendersi:
..tutti quegli elementi a carico, di natura logica o rappresentativa che – contenendo in nuce tutti o soltanto alcuni degli elementi strutturali della corrispondente prova – non valgono, di per sé, a provare oltre ogni dubbio la responsabilità dell’indagato e tuttavia consentono, per la loro consistenza, di prevedere che, attraverso la futura acquisizione di ulteriori elementi, saranno idonei a dimostrare tale responsabilità, fondando nel frattempo una qualificata probabilità di colpevolezza”
Pertanto secondo gli ermellini:
La valutazione allo stato degli atti della “colpevolezza” dell’indagato per essere idonea ad integrare il presupposto per l’adozione di un provvedimento de libertate, deve, quindi, condurre non all’unica ricostruzione dei fatti che induca, al di là di ogni ragionevole dubbio, ad uno scrutinio di responsabilità dell’incolpato, ma è necessario e sufficiente che permetta un apprezzamento in termini pronostici che, come tale, è ontologicamente compatibile con possibili ricostruzioni alternative, anche se fondate sugli stessi elementi.
Difatti la valutazione della prova in sede cautelare rispetto al giudizio di cognizione è caratterizzata dalla provvisorietà del compendio indiziario.
Ai fini dell’applicazione delle misure cautelari, anche dopo le modifiche introdotte dalla L. 63/2001, è sufficiente il requisito della gravità, e non anche quelli di precisione e di concordanza richiesti nel giudizio di merito ex art. 192, comma 2°, c.p.p.
La Suprema Corte sottolinea altresì che allorquando sussista una prova diretta, quali le dichiarazioni rese dalla persona offesa, e non soltanto elementi di prova indiziaria, per l’adozione di una misura cautelare personale deve escludersi la necessità di fare al ricorso al concetto di “gravità” che viene soverchiato dal diverso e più soddisfacente grado di prova acquisita.
La dichiarazione della vittima rappresenta infatti un plus e non occorre neppure che la sua dichiarazione accusatoria trovi riscontro in elementi esterni.
I giudici di piazza Cavour nella valutazione dell’ordinanza sottoposta al loro vaglio, hanno ritenuto che il Tribunale nel confermare il provvedimento cautelare abbia motivato specificamente e diffusamente l’attendibilità della persona offesa anche in relazione ai numerosi riscontri esterni alle dichiarazioni della stessa denunciante, delineando altresì le condotte addebitabili al ricorrente e dando specifica risposta ai rilievi difensivi proposti in sede di ricorso.
In ordine alla “presenza inerte” dell’indagato dinnanzi al compimento della violenza sessuale del resto del gruppo, la Corte rammenta che ai fini della configurabilità del reato di cui all’art. 609 octies c.p. è necessario che più persone riunite partecipino alla commissione del fatto, costituendo tale delitto una fattispecie autonoma di reato necessariamente plurisoggettivo proprio, consistente nella “partecipazione, da parte di più persone riunite, ad atti di violenza sessuale ex art. 609 bis c.p.”, in cui la pluralità di agenti è richiesta come elemento costitutivo.
Difatti la previsione di un trattamento sanzionatorio più severo è connesso al grado di lesività evidentemente più intenso in ragione in primis della maggiore capacità di intimidazione del soggetto passivo ed al pericolo di reiterazione di atti sessuali violenti, ed in secondo luogo anche per “l’odiosa violazione della libertà sessuale della vittima nella sua ineliminabile essenza di autodeterminazione.”
Ciò detto, ai fini della “partecipazione”, non è richiesto che tutti i componenti del gruppo compiano atti di violenza sessuale, essendo sufficiente che dal compartecipe sia comunque fornito un contributo causale, materiale o morale, alla commissione del reato.
Né é necessario che i componenti del gruppo assistano al compimento degli atti di violenza sessuale, essendo sufficiente la loro presenza nel luogo e nel momento in cui detti atti vengono compiuti, anche da uno solo dei compartecipi, atteso che la determinazione di quest’ultimo viene rafforzata dalla consapevolezza della presenza del gruppo.
Nella fattispecie in commento, dalle risultanze probatorie emerge che l’indagato, oltre ad essere fisicamente presente nel luogo dove avveniva la violenza sessuale e durante tutto il tempo in cui tale condotta veniva perpetrata, imponeva un toccamento al seno alla persona offesa e realizzava altresì un video dei fatti criminali, manifestando così una “chiara adesione alla violenza di gruppo che rafforzava il proposito criminoso del gruppo”.
- Sull’esigenza cautelare
Infondato anche il secondo motivo di ricorso sulla valutazione della sussistenza delle esigenze cautelari.
Diversamente da quanto asserito dal ricorrente, il Tribunale, ai fini della sussistenza del pericolo, concreto ed attuale, di reiterazione criminosa, ha tenuto conto sia della gravità del titolo di reato che specificamente della personalità dell’indagato, desunta dalle specifiche modalità e circostanze del fatto e dal contesto in cui il fatto si era realizzato nonché dai comportamente o atti concreti dai suoi precedenti.
Non solo. Alla luce dell’art. 274, lett. c), cp.p., come modificato dalla L. 47/2015, il pericolo che l’imputato commetta altri delitti deve essere non solo concreto ma anche attuale, che sta ad indicare la continuità del periculum libertatis nella sua dimensione temporale.
L’attualità del pericolo va apprezzata sulla base della vicinanza ai fatti in cui si è manifesta la potenzialità criminale dell’indagato e va fondato sia sulla personalità dell’accusato, desumibile anche dalle modalità del fatto per cui si procede, sia sull’esame delle sue concrete condizioni di vita.
L’ordinanza impugnata ha pertanto pienamente osservato tali criteri e la sua motivazione, a dire della Corte, è adeguata, logica e conforme al diritto.
La Suprema Corte dichiara quindi inammissibile il ricorso poiché le censure svolte dal ricorrente sono meramente ripropositive di questioni già adeguatamente esaminate dal Tribunale e si risolvono in una diversa valutazione delle risultanze istruttorie esaminate dal giudice di merito, e quindi, sono meramente in fatto, e come tali, non deducibili in sede di legittimità.
Conclusione
Risponde del reato di violenza sessuale di gruppo ex art. 609 octies c.p. anche colui che, pur non compiendo atti sessuali, partecipa allo stupro riprendendo il fatto.
La sentenza commentata, in linea con la giurisprudenza maggioritaria sulla materia, ha ribadito che la punibilità debba essere estesa (qualora sia comunque realizzato un fatto di violenza sessuale) a qualsiasi condotta partecipativa, tenuta in una situazione di effettiva presenza non da mero “spettatore”, sia pure compiacente, sul luogo ed al momento del reato, che apporti un reale contributo materiale o morale all’azione collettiva.
VP