“Sauna a luci rosse”: l’utilizzo improprio di fotografie non dà sempre diritto al risarcimento del danno

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Può una fotografia essere impiegata per uno scopo diverso da quello per il quale è stata scattata? Questo è ciò che si è domandata una donna che nello sfogliare un giornale locale si è ritrovata immortalata nell’ambito di un caso di cronaca a luci rosse e che si è vista negare il risarcimento dei danni. (Cass. Civ., sez. III, sent. n. 29030/2021)

Il caso

Una donna posa rilassata in accappatoio in un centro benessere di un hotel. Lo scatto viene realizzato per una inserzione pubblicitaria su un quotidiano trevigiano.

Qualche anno dopo l’hotel viene coinvolto in uno scandalo legato ad un giro di prostituzione e lo stesso giornale, nel narrare il fatto, correda l’articolo proprio di quella foto scattata esclusivamente a fini promozionali.

“… sauna a luci rosse – Blitz della polizia: giovani squillo nel salone di bellezza”: questo è il titolo dell’articolo a cui era stata associata l’immagine della donna, che non lasciava spazio ad interpretazioni diverse.

La pubblicazione infatti riferiva dello svolgimento dell’attività di prostituzione all’interno di un centro benessere, dotato di stanze dotate di sauna, idromassaggio e arredate con cura e la foto ritraeva la ricorrente, appunto, all’interno di sauna, sicché il collegamento con le notizie tratte nell’articolo pareva immediato.

La signora chiedeva quindi al quotidiano un risarcimento di Euro 50.000,00, per i danni all’onore, al decoro, alla reputazione, alla dignità ma anche alla riservatezza dalla stessa patiti.

Precisava infatti che: “anche la pubblicazione di una fotografia può determinare un danno da diffamazione a mezzo stampa, quando la foto tragga in inganno o sia idonea ad ingenerare equivoci sulla realtà dei fatti o comunque ad associare la persona ritratta a fatti estranei”.

La decisione della Suprema Corte

Sebbene, ad un occhio profano, parrebbero fondate le doglianze della ricorrente, la Corte di Cassazione non è stata di questo avviso e con la sentenza n. 29030/2021 ha confermato il rigetto della richiesta risarcitoria, già disposto dalla Corte di appello di Venezia.

I giudici di 2° grado avevano infatti escluso la potenzialità lesiva della pubblicazione, “attesa la evidente non rispondenza tra il carattere delicato e raffinato della foto pubblicata con la natura torbida della notizia contenuta nell’articolo a corredo del quale la foto era stata apposta”.

La statuizione reiettiva del risarcimento del danno per lesione del diritto alla privacy era peraltro stata giustificata, come già quella per lesione del decoro, dell’onore, della dignità e della reputazione, con il difetto di prova circa la ricorrenza di un danno subìto dalla ricorrente asseritamente cagionato dal comportamento antigiuridico della controricorrente.

La difesa della ricorrente ribadiva che la foto era stata scattata nell’ambito di un set fotografico, non aperto al pubblico, e che in questione non era l’acquisizione della foto, ma la sua utilizzazione non acconsentita

Precisava altresì che non era invocabile la scriminante del diritto di cronaca, che la normativa sulla privacy, all’art. 137, ammette solo nell’ipotesi di essenzialità dell’informazione rispetto ai fatti di interesse pubblico.

Ad ogni modo secondo la Corte di appello la pubblicazione era tutt’al più “frutto di un errore incolpevole, senza significativi effetti dannosi per il soggetto ritratto nella foto oggetto dell’errore con riguardo alla sua posizione sociale e relazionale”; anche in considerazione della tiratura del giornale nonché della sua diffusione.

La Corte territoriale aveva inoltre rilevato come nessuna delle persone vicine alla ricorrente avesse mai dubitato della sua estraneità alla vicenda e che pertanto non si era generato un pregiudizio nei rapporti sociali della donna.

Semmai l’interesse che la comunità ha rivolto alla donna, anche tramite domande in punto alla pubblicazione, poteva collocarsi nei limiti di normale tollerabilità; una sorta di curiosità accettabile e che non andava oltre il “trascurabile imbarazzo”.

Infine, i giudici avevano precisato che la foto era stata scattata in un set fotografico allestito in un luogo aperto al pubblico e che  l’incongruenza tra lo stile della foto e la tipologia di notizia non poteva  quindi generare confusione nel lettore.

Alla luce di questa ricostruzione, la sezione III civile della Corte di Cassazione ha negato il risarcimento.

In conclusione

L’utilizzo improprio di fotografie può configurare diversi profili di responsabilità potendo ledere beni giuridici diversi. 

Basti pensare ad un fotografo che pubblica le proprie creazioni online ed un terzo che le impieghi per ottenerne un vantaggio economico o semplicemente per un proprio uso personale, senza chiederne il consenso. Questa ipotesi realizza una violazione del diritto d’autore e l’autore dell’opera può rivendicarne i diritti su di essa.

Differente è l’ipotesi in cui il soggetto immortalato acconsenta all’utilizzo della propria immagine per uno scopo concordato. In tal caso la questione è duplice

Viene infatti in rilievo il profilo legato alla riservatezza, in quanto l’immagine raffigurante un individuo rappresenta a tutti gli effetti un dato personale e come tale gode della tutela riservata dalla normativa sulla privacy ed al trattamento dei dati personali.

In secondo luogo, non può essere trascurato l’aspetto concernente i diritti della personalità. In particolare, per ciò che rileva in questa sede, il diritto legato alla propria immagine sia nella sfera privata che relativo alla percezione che il mondo ha della nostra persona.

E’ di tutta evidenza che é necessario che si verifichi una effettiva lesione della privacy nonché un concreto danno reputazionale per il soggetto immortalato.

Non sorge infatti in automatico la tutela risarcitoria, ma è sempre necessario contestualizzarla e allegare le prove del danno concretamente patito.

VP

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