Con la sentenza n. 17346 dell’8 giugno 2020 la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso proposto da due coniugi, imputati per il reato di stalking di cui all’art. 612 bis c.p. ai danni di un vicino di casa il quale, esausto delle incessanti vessazioni, assoldava un investigatore privato per provare in giudizio gli atti persecutori subìti.
Gli imputati lamentavano che le videoregistrazioni erano state indebitamente ottenute nella propria abitazione ed attenevano alla loro sfera privata.
Secondo la Suprema Corte non è configurabile il reato di cui all’art. 615-bis cod. pen. quando il ricorso ad apparecchi di videosorveglianza sia finalizzato a riprendere quanto accada in spazi pubblici, luoghi aperti o esposti al pubblico, ovvero che, pur di pertinenza di una privata abitazione, siano di fatto soggetti alla vista degli estranei. Ne consegue la legittimità dell’acquisizione processuale dei filmati realizzati come “documenti” ex art. 234 c.p.p.

La vicenda
La questione sottoposta alla sezione V penale della Suprema Corte vedeva le parti coinvolte in reciproche denunce e procedimenti speculari nell’ambito di aspri dissidi per ragioni di vicinato.
In particolare, una coppia di condomini aveva preso di mira un vicino di casa, sottoponendolo quotidianamente a veri e propri atti persecutori.
Le molestie e le intimidazioni andavano avanti da quasi un paio d’anni, tanto da dover coinvolgere investigatori privati e da determinare la persona offesa a mettere in vendita la propria abitazione.
La vittima, a seguito delle continue ingiurie, delle minacce gravi – anche di morte – sfociate in diverse azioni intimidatorie, viveva in uno stato di ansia perenne con un forte (e fondato) timore per la propria incolumità.
Gli imputati infatti svolgevano una feroce ed insistente pressione psicologica nella persona offesa: per provocare la vittima avevano occupato un’area comune con il proprio camper al fine di ostacolargli il passaggio con il suo veicolo ed avevano persino tentato di investirla.
Decisive le riprese dell’investigatore incaricato di provare tali condotte. E sono state proprie queste videoregistrazioni ad essere oggetto di doglianza da parte degli imputati.
Questi ritenevano inutilizzabili tali prove poiché asserivano che gli apparecchi di videosorveglianza erano stati illegalmente installati nella propria dimora (circostanza peraltro smentita) per riprendere l’interno dell’abitazione privata, vietata in modo assoluto dall’art. 615-bis cod. pen., che ne sancisce l’illiceità.
Tuttavia i giudici di secondo grado, che si erano già espressi su tale questione, avevano accertato che le videoriprese erano state girate all’esterno dell’abitazione e dirette a parti di essa accessibili dall’esterno, sicché dovevano ritenersi legittimamente acquisite come documenti.
Sul punto la Corte di Cassazione, con la sentenza in esame, ha richiamato una pronuncia delle Sezioni Unite (n. 26795/2006) nella quale si affermava che: “le videoregistrazioni in luoghi pubblici ovvero aperti o esposti al pubblico, non effettuate nell’ambito del procedimento penale, vanno incluse nella categoria dei “documenti” di cui all’art. 234 cod. proc. pen., mentre, se eseguite dalla polizia giudiziaria, anche d’iniziativa, vanno incluse nella categoria delle prove atipiche, soggette alla disciplina dettata dall’art. 189 cod. proc. pen. e, trattandosi della documentazione di attività investigativa non ripetibile, possono essere allegate al relativo verbale e inserite nel fascicolo per il dibattimento.”
Infine, non è configurabile il reato di interferenze illecita nella vita privata di cui all’art. 615-bis cod. pen. “per il solo fatto che si adoperino strumenti di osservazione e ripresa a distanza, nel caso in cui tali strumenti siano finalizzati esclusivamente alla captazione di quanto avvenga in spazi che, pur di pertinenza di una privata abitazione, siano, però, di fatto, non protetti dalla vista degli estranei.”
Tutto ciò premesso, la Suprema Corte dichiarava inammissibile il ricorso e confermava la condanna degli imputati per stalking (rectius atti persecutori) ex art. 612 bis c.p.
Lo stalking condominiale
Il reato di atti persecutori può essere commesso anche in contesti diversi da quelli inerenti la sfera affettiva, come quelli tra vicini di casa.
Lo stalking condominiale rientra nella più generica figura dello stalking ed ha ottenuto una consacrazione ufficiale con la sentenza n. 26878 del 2016, con quale gli ermellini hanno sancito che tale reato si configura ogni volta che la condotta persecutoria di uno o più condomini costringe la vittima a modificare le proprie abitudini di vita e a gettarlo un uno stato di ansia.
Stiamo assistendo ad un crescente diffusione di questo fenomeno che può condizionare il naturale godimento della propria dimora.
Il turbamento della quiete domestica può palesarsi in diverse forme come sbattere la tovaglia dal balcone, parcheggiare in cortile in aree comuni, occupare pianerottoli con stendibiancheria o altri suppellettili, tenere la musica a tutto volume, camminare a piedi scalzi in casa, ma anche dispetti più o meno gravi come la sottrazione di beni di ogni tipo (portaombrelli, piante, zerbino, etc.).
L’elenco è lungo e spesso anche molto fantasioso, certamente se prese isolatamente queste condotte appaiono delle banalità, ma se si ripetono più e più volte, la situazione diventa intollerabile e gli animi si scaldano rendono il clima sempre più teso.
D’altronde, che i rapporti di vicinato siano da sempre oggetto di accese discussioni non è certo una novità, tuttavia quando semplici liti tra condomini si trasformano in vere e proprie condotte moleste reiterate nel tempo ci si sente sopraffatti e spesso anche impotenti.
Preme precisare che sussiste il reato di stalking condominiale quando la condotta posta in essere dallo stalker cagioni nella vittima un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero ingeneri un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero costringa lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita.
Ad ogni modo se ritieni di esserne vittima, rivolgiti alle autorità competenti (Carabinieri, Forze di Polizia, ecc.) e sporgi denuncia.
VP