Il contrasto politico non giustifica le offese su Facebook, laddove queste valichino i limiti della continenza nel diritto di critica e laddove la natura politica venga impiegata come espediente per denigrare la vittima personalmente.

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Il contrasto politico non giustifica le offese su Facebook, laddove queste valichino i limiti della continenza nel diritto di critica e laddove la natura politica venga impiegata come espediente per denigrare la vittima personalmente.
Risponde del reato di atti persecutori ex art. 612 bis c.p. il soggetto che tormenta di messaggi su WhatsApp il fratello della vittima.
Si configura il reato di diffamazione aggravata a mezzo facebook anche se non vengono menzionati il nome e cognome della persona offesa, qualora dalle parole impiegate è possibile identificare il destinatario delle offese.
Il “mi piace” ad un post razzista rappresenta un indizio del reato di istigazione all’odio razziale qualora, sommato con altre evidenze come l’adesione ad un gruppo virtuale filonazista, contribuisca alla maggiore diffusione di un messaggio idoneo, già di per sé, a raggiungere un numero indeterminato di persone. Questo é quanto statuito dalla Cassazione penale (sez. I) con la sentenza n. 4534 del 9 febbraio 2022.
Non è diffamazione l’offesa su Facebook se il destinatario è online. Ad affermarlo è la Corte di Cassazione nella sentenza n. 44662 del 2021 con la quale ha delineato il confine tra ingiuria e diffamazione.
I servizi gratuiti offerti da Facebook costituiscono servizi di natura commerciale. E’ questo quanto stabilito dal Consiglio di Stato nella sentenza n. 2631/2021.
In occasione della Festa della donna, si è finalmente aperto il canale di segnalazione preventiva per le vittime potenziali di Revenge porn, frutto della collaborazione di Facebook con il Garante privacy.