Risponde del reato di atti persecutori ex art. 612 bis c.p. il soggetto che tormenta di messaggi su WhatsApp il fratello della vittima.

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Risponde del reato di atti persecutori ex art. 612 bis c.p. il soggetto che tormenta di messaggi su WhatsApp il fratello della vittima.
Mandare a quel paese la polizia locale tramite Instagram non integra il reato di vilipendio delle forze armate, atteso che la polizia locale, anche se i suoi agenti sono dotati di armi da fuoco, non fa parte delle “forze armate”. A statuirlo è la Corte di Cassazione con la sentenza n. 35328/2022.
Anche l’invio di messaggi sgraditi tramite Whatsapp può integrare il reato di molestia ex art. 660 c.p. E’ il carattere invasivo della messaggistica telematica ad assumere rilievo e non che il ricevente, possa escludere o bloccare il contatto indesiderato. Questo è quanto statuito dalla prima sezione penale della Corte di Cassazione con la sentenza n. 34821/2022.
Anche l’Avvocato ha diritto di giovare dell’ampia disponibilità dei mezzi tecnologici per promuovere la propria attività professionale, pur sempre nel rispetto delle norme deontologiche. Vediamo quali sono.
Si configura il reato di diffamazione aggravata a mezzo facebook anche se non vengono menzionati il nome e cognome della persona offesa, qualora dalle parole impiegate è possibile identificare il destinatario delle offese.
Il “mi piace” ad un post razzista rappresenta un indizio del reato di istigazione all’odio razziale qualora, sommato con altre evidenze come l’adesione ad un gruppo virtuale filonazista, contribuisca alla maggiore diffusione di un messaggio idoneo, già di per sé, a raggiungere un numero indeterminato di persone. Questo é quanto statuito dalla Cassazione penale (sez. I) con la sentenza n. 4534 del 9 febbraio 2022.
Non è diffamazione l’offesa su Facebook se il destinatario è online. Ad affermarlo è la Corte di Cassazione nella sentenza n. 44662 del 2021 con la quale ha delineato il confine tra ingiuria e diffamazione.