Scrivere un post, condividerlo, commentare una foto, mettere un like, pubblicare un video, guardare un film in streaming, partecipare ad un forum, lasciare una recensione, leggere la posta elettronica, acquistare un prodotto su un sito di e-commerce, scaricare musica, fare un bonifico online, navigare in rete…
Le possibilità che il lettore di questo articolo non conosca queste azioni sono molto basse, pressoché nulle, anche perché se sta leggendo questo blog è online.
I visitatori del Web nel mondo superano i 4 miliardi. Facebook raggiunge più di due miliardi di utenti attivi, Youtube sfiora di poco questo numero. Le nostre vite stanno diventando sempre più digitali e più la tecnologia si insinua nella nostra quotidianità più deve essere alto il livello di attenzione a ciò che facciamo in rete.
Frequentare un social è la normalità, iscriversi ad un sito e fornire le proprie credenziali lo è altrettanto. Quello che scriviamo, quello che pubblichiamo, quello che condividiamo parla di noi, di chi siamo, della nostra identità.
Tutto questo rappresenta la nostra identità digitale che è frutto di tutte le informazioni che forniamo quando siamo online che vanno a definire le nostre abitudini, le nostre preferenze, il nostro tenore di vita, il nostro orientamento sessuale, i nostri colori politici, i nostri interessi, dalla musica, ai libri, all’abbigliamento, ai film, ai gusti culinari, allo sport, agli hobbies, e via dicendo. Molto probabilmente questo elenco potrebbe essere infinito ed è proprio questo che fa accapponare la pelle.
La nostra identità virtuale (che poi tanto virtuale non è) determina la nostra reputazione in rete.
La reputazione digitale (cd. web reputation) consiste nel modo in cui gli altri ci vedono. E badate bene, gli altri possono essere i nostri amici ma anche un potenziale datore di lavoro, un potenziale cliente, una autorità, etc.
Il problema reale nasce dalla “leggerezza” con la quale ci si approccia ad Internet ed ai social network in generale (es. Facebook, Instagram, Twitter, Linkedin, etc.). Si trascura la potenza di questi strumenti e ci si dimentica di quanto importante sia tutelare la propria privacy.
Si sottovalutano fondamentalmente le conseguenze che questa negligenza genera. Le nostre informazioni possono anche essere raccolte per scopi illeciti e da soggetti non mossi dalle migliori intenzioni.
Ad ogni modo gli accorgimenti che l’utente può impiegare sono diversi e possono sembrare apparentemente banali. Per dirne una, selezionare le foto, i video e le informazioni che pubblichiamo. La domanda che ci si deve porre è: che immagine dà di me quanto sto pubblicando? Che messaggio sto trasmettendo?
Quasi certamente il lettore poco attento all’opinione altrui, troverà questa soluzione priva di utilità, ma c’è un aspetto da non sottovalutare: il diritto all’oblio non è sempre facilmente applicabile. Sicché, ciò che oggi può non avere alcuna importanza, un domani potrebbe influenzare la scelta di una azienda nell’assumere un candidato piuttosto che un altro. Che sia eticamente corretto può essere discutibile, ma in un mondo in cui la tecnologia domina qualche attenzione in più non guasta. Pertanto gestire la propria identità digitale è importante, perché la reputazione che si ha sul web può avere evidenti ricadute sulla vita reale.
A tal proposito si suggerisce la visione di una intervista rilasciata dal Garante della Privacy ad una emittente radio televisiva nel Novembre 2014. (vedi Link)
Sorprende come alcuni aspetti sollevati quasi cinque anni fa dall’Autorità Garante, Antonello Soro, siano incredibilmente attuali.
In particolare, denunciava già all’epoca la difficoltà dell’utente ad assumere consapevolezza sul fatto che la vita in rete non è prettamente una vita virtuale ma è un pezzo della nostra vita; trascorrendo del tempo online e viaggiando in questo spazio digitale si consegnano tante parti di sè. Sottolineava inoltre che la vita trascorsa in questo spazio ci espone a dei rischi e che vi sono delle conseguenze per ogni nostro atto, esattamente come avviene nella vita fisica.
Riconosceva altresì che ciò si presenta come una grande punto di criticità per gli addetti ai lavori in materia di protezione dei dati. L’attitudine del navigatore di trasferire pezzi progressivi di vita nella società digitale lo espone ad una dimensione in cui il livello di protezione deve essere irrobustito. Chi protegge i dati delle persone, protegge la loro sicurezza nella vita reale.
”…C’è la disinvoltura, in qualche momento l’arroganza, piuttosto che la caduta di freni inibitori legati alla presunzione sbagliata di essere in un gioco, in uno spazio virtuale e di avere anche l’anonimato, cosa anche questa figlia di una presunzione sbagliata. Tutto questo produce comportamenti che nella vita dello spazio fisico probabilmente non ci sarebbero e questo genera alcuni aspetti distorsivi, alcuni anche lati oscuri della rete”. (tratto dall’intervista)
Il Garante in questa intervista, che si ribadisce di quasi un lustro fa, afferma che la protezione dei dati sta diventando il primo diritto della società per come si sta organizzando ed evolvendo ed affronta il tema della Web Reputation (vedi 6’ 50” della videointervista). Secondo Soro la nostra immagine passa sempre di più per quello che troviamo in internet, la nostra persona, come nella vita fisica, è sempre stato il prodotto di una interazione tra quello che noi vogliamo che gli altri pensino di noi e quello che gli altri pensano di noi.
Nella relazione digitale il ruolo degli altri è assolutamente prevalente. La nostra reputazione diventa una ridefinizione della nostra identità, tuttavia nello spazio fisico possediamo più ruolo per proteggerla e difenderla mentre in una dimensione organizzativa come la società digitale gli attori sono tanti e non sempre hanno armi uguali. Il singolo navigatore spesso disinformato è anche scarsamente impegnato a tutelare i propri dati ma tante volte è anche oggettivamente indifeso quindi il tema è complesso.
Infatti sebbene il cittadino si preoccupi per la propria privacy digitale, percependone il rischio, rinuncia poi a svolgere un ruolo attivo per difenderla anche quando le violazioni possano risultare lesive della propria reputazione, della propria immagine e della propria onorabilità.
Il Garante affronta inoltre la questione dell’educazione digitale nelle scuole, per informare i ragazzi ed educarli ad un uso intelligente della tecnologia e di internet. La finalità è quella di accrescere la consapevolezza degli utenti, far sì che conoscano la rete, quali condotte adottare e quali informazioni fornire, abituarli ad un impiego sano degli strumenti che il progresso offre.
Conclude infine parlando delle strade percorribili per tutelare la propria reputazione ed in questo contesto tratta del diritto all’oblio.
Solitamente per l’esercizio del diritto all’essere dimenticati ci si rivolge al gestore del sito (del giornale, del social, etc.) al fine di sottrarre la reperibilità dell’informazione ritenuta lesiva, diffamatoria, inveritiera o semplicemente obsoleta. In seconda istanza, in difetto di riscontro, si interpella il Garante che, ove sussistano i presupposti, intima il provider ad ottemperare. Il diritto alla protezione della propria dignità personale va armonizzato e bilanciato con la libertà di informazione e il diritto all’oblio.
In conclusione, sono diversi i comportamenti che un buon navigatore, attento alla propria reputazione, potrà porre in essere:
- Selezionare le informazioni prima di renderle pubbliche (informazioni personali, opinioni, foto, video, tag, dati inclusa la geolocalizzazione, etc.).
- Verificare le informazioni pubblicate da terzi riguardanti la sua persona (informazioni personali, opinioni, foto, video, tag, dati inclusa la geolocalizzazione, etc.).
- Astenersi dall’impiegare un linguaggio scurrile o dall’esprimere idee che in un momento successivo possano avere un effetto boomerang.
- Selezionare il pubblico a cui destinare determinate informazioni (la selezione comprende anche chi accettare tra le amicizie e tra i followers).
- Verificare preventivamente l’attendibilità di un sito, di un’app, di un gioco online.
- Leggere SEMPRE l’informativa privacy e la cookie policy.
- Scegliere una password che non sia banale, cambiarla spesso e custodirla con cura.
- Usare un buon antivirus (che sembra scontato ma non lo è!).
Queste sono solo alcune delle innumerevoli soluzioni da adottare, pertanto più attenzione si presterà maggiori tutele otterrà la nostra reputazione digitale, perché nei tempi moderni non c’è modo di non avere una reputazione digitale, ma ce ne sono tanti per non danneggiarla.
Potrai quindi ripudiare ogni tipo di tecnologia, rinunciare a smartphone, tablet, computer, qualsiasi dispositivo che possa raccogliere tue informazioni, persino vivere come un eremita tra le montagne, ma è sufficiente che qualcuno pubblichi una tua foto o parli di te e avrai anche tu una web reputation.
VP
[…] Tutte le azioni che compiamo in rete ci identificano e consentono una indagine sull nostro profilo come cliente, collocandoci in un gruppo di comportamento piuttosto che un altro: i like, i prodotti che acquistiamo, i siti che visitiamo, il tempo che trascorriamo su un determinato social network, etc. (vedi anche articolo Web Reputation e Privacy: Non fare in rete ciò che non faresti nella vita reale!). […]
[…] Prima di pubblicare un contenuto, rifletti sul fatto che può essere riprodotto ed utilizzato illecitamente da terzi: la tutela della tua privacy garantita dai social network può essere aggirata da innumerevoli escamotage, come ad esempio scaricando delle applicazioni preposte allo scopo. Off topic ma non troppo: conseguenze importanti si registrano anche sul fronte della tua reputazione attuale e futura, se vuoi approfondire leggi qui (Web Reputation e Privacy: Non fare in rete ciò che non faresti nella vita reale!) […]