(Cass. Pen., Sez. III, sent. n. 25266/2020)
È violenza sessuale inviare foto hard tramite WhatsApp a un minore, pur in difetto di “contatto fisico” con la vittima. E’ di questo avviso la terza sezione penale della Corte di Cassazione.

Sommario
La vicenda
La vicenda riguarda un ragazzo di 32 anni a cui veniva applicata la misura della custodia cautelare in carcere per il reato di violenza sessuale.
L’indagato era stato accusato dei reati di cui agli artt. 609-bis e 609-ter c.p. “per aver scritto una serie di messaggi di WhatsApp allusivi e sessualmente espliciti ad una ragazza, minore di età, costringendola a scattarsi foto e ad inoltrare una foto senza reggiseno nonché una foto ritraente il membro maschile e commentarla, sotto la minaccia di pubblicare la chat su instagram e su pagine hot.”
Il ricorrente impugnava l’ordinanza del Tribunale del riesame di Milano – che confermava la misura disposta dal GIP di Pavia – eccependo la violazione di legge.
In particolare, contestava che il fatto fosse sussumibile sotto l’art. 609-bis c.p., mancando nella condotta l’atto sessuale, potendo, al limite, configurare il reato di cui all’art. 609-undecies c.p. per aver adescato la minore allo scopo di commettere il reato di cui all’art. 600-bis c.p., con minaccia e mediante la rete o altri mezzi di comunicazione (cd. Child grooming).
L’indagato ammetteva di aver avuto delle conversazioni con la minore ma negava di averla indotta a pratiche di autoerotismo o ad altre pratiche sessuali via chat, tantomeno di averle formulato proposte di incontro o di sesso online.
Pertanto la sua condotta non avrebbe potuto intaccare l’integrità psico-fisica della minore, secondo il corretto sviluppo della sua sessualità, quale bene giuridico della norma contestata.
La decisione
La Suprema Corte rigettava il ricorso, ribadendo quanto stabilito dal Tribunale del riesame: “la violenza sessuale risultava pienamente integrata, pur in assenza di contatto fisico con la vittima, quando gli atti sessuali coinvolgessero la corporeità sessuale della persona offesa e fossero finalizzati e idonei a compromettere il bene primario della libertà individuale nella prospettiva di soddisfare o eccitare il proprio istinto sessuale.”
I gravi indizi di colpevolezza del reato contestato erano stati ravvisati nell’induzione allo scambio di foto erotiche, nella conversazione sulle pregresse esperienze sessuali ed i gusti erotici nonché nella crescente minaccia di divulgare le chat in pubblico.
Gli ermellini, con ampi riferimenti alla giurisprudenza formatasi sul tema, confermano che la violenza sessuale si configura anche se realizzata mediante strumenti telematici di comunicazione a distanza, quando emerge da un lato, l’univoca intenzione dell’agente di soddisfare la propria concupiscenza e, dall’altro, l’oggettiva idoneità della condotta a violare l’autodeterminazione sessuale della vittima.
In ultimo, il Collegio, in accordo col Tribunale del riesame, giustifica la custodia cautelare in carcere (nel mentre l’indagato aveva ottenuto i domiciliari) poiché era emerso che l’indagato avesse già perpretato le stesse condotte nei confronti di altre minori, dimostrando pertanto di non saper dominare le proprie pulsioni.
Conclusione
Alla luce di quanto detto, la mancanza di un incontro sessuale “reale” tra il carnefice e la persone offesa non rileva ai fini della integrazione del reato di cui all’art. 609.bis c.p. “violenza sessuale” secondo il quale:
“Chiunque, con violenza o minaccia Chiunque, con violenza o minaccia o mediante abuso di autorità, costringe taluno a compiere o subire atti sessuali è punito con la reclusione da cinque a dieci anni.
Alla stessa pena soggiace chi induce taluno a compiere o subire atti sessuali:
1) abusando delle condizioni di inferiorità fisica o psichica della persona offesa al momento del fatto;
2) traendo in inganno la persona offesa per essersi il colpevole sostituito ad altra persona.
Nei casi di minore gravità la pena è diminuita in misura non eccedente i due terzi.”
Il concetto di “atti sessuali” preso in considerazione dagli artt. 609-bis e ss. c.p. comprende tutti quegli atti che siano idonei a compromettere la libera determinazione della sessualità del soggetto passivo attraverso l’eccitamento o il soddisfacimento dell’istinto sessuale dell’agente.
Nel caso di specie l’indagato possedeva la coscienza e la volontà di realizzare gli elementi costitutivi del reato.
VP